domenica

Ciao, come stai? (2 marzo 2010, sera)

Ciao, come stai? Spero tu stia bene! Volevo dirti che mi sono svegliato, pare che l'operazione sia andata bene. Ora mi sento così così , ma sono ancora vivo, ed è questo quello che conta. Baci, ti penso, ti voglio tanto bene, e spero che tu stia bene sempre.

Sono davvero contenta! Ti abbiamo pensato tanto. Siamo sempre vicini, anche se siamo così lontani. Vedrai, ti andrà tutto bene.
Adesso riprenditi con calma, e ....benvenuto nel mondo sonoro, benvenuto a una nuova vita. :-)

Solo ( 2 marzo 2010, metà giornata)

Riprendo l'ascensore sospinto dalle mie solerti guardiane, e ritorno in reparto. Le due infermiere mi sorridono tutto il tempo, sembrano davvero contente di rivedermi. Rientro nella mia stanza. Sono solo, adesso.
Mi sento quasi confuso, come se troppe cose fossero accadute tutte insieme. Mi dicono che i miei se ne erano andati appena pochi minuti prima, pensando chissà quanto sarebbe durato l'intervento. Sono stati informati, e ora stanno tornando indietro.
C'è ora davanti al mio letto la ragazza che dovrà essere operata per ultima, il giorno dopo. E' venuta di corsa dalla sua stanza per sapere come è andata, e per chiedermi "suggerimenti e consigli". E' agitatissima. Mi viene da sorridere al fatto che lei viene a cercare a conforto da me, in questo momento!, e le dico di stare calma e non agitarsi, ma è fatica sprecata, dal momento che lei mi risponde che "sta a sonniferi" già dal giorno prima. Si meraviglia di vedermi così bene, si aspettava di vedere i pazienti ridotti come stracci dopo un'operazione del genere. Bè, se è per quello, me lo aspettavo anche io.
Arrivano i miei, baci, abbracci, grandi sorrisi, tutto molto composto. Appena il tempo di salutarmi e vengono fatti uscire, per l'orario di chiusura.

Rimango di nuovo da solo. Non posso mangiare, posso bere acqua con moderazione, chiedo se posso mangiare qualcosa, ho fame, no, niente cibo, per stasera è previsto un tè con due biscotti come lauta cena.

Sento che l'anestesia sta andando via, comincio a sentire sempre di più dolori dappertutto.
Mi fa male la bocca (a causa dei tubi dell'aria), mi fa male il collo, mi fa male la gola a deglutire (sempre per i tubi), e mi sembra di avere un cerchio terribile intorno alla testa. Non posso appoggiare l'orecchio sul cuscino, devo stare appoggiato dalla parte opposta. Ho l'istinto di toccarmi l'orecchio dolorante, ma la fasciatura è così stretta e rigida che è impossibile.
Mi accorgo di non avere più sensibilità alla lingua (effetto collaterale dell'operazione.....), mi fa male persino il braccio con l'ago ancora inserito.
Provo a fare una dormita, ma più che uno stato di fintissima dormiveglia non riesco a fare. Prendo la macchina fotografica e mi scatto qualche fotografia ricordo. Pure un mezzo sorriso è doloroso, in questo momento.
Ma sono così contento di essere ancora vivo, ancora cosciente, ancora capace di vedere e assaporare il mondo. Tutto il resto passa in secondo piano.
Le ore passano.

Risveglio ( 2 marzo 2010, ora ?? )

Sento qualcosa sul naso e intorno agli occhi, una sorta di pizzicore. E spalanco gli occhi di soprassalto. Vedo il giovane medico di prima che cerca di sistemarmi gli occhiali sul naso alla meno peggio, dopodichè con la massima naturalezza si volta e passa a fare altro. Qualcuno mi rassetta le coperte, allisciandole come si fa per i vestiti.
Mioddio. Mi sono svegliato, sono ancora in sala operatoria.
Mi sento le mani sganciate dai lacci, e lentamente, lentissimemnte, porto le mani alla testa. Sento una fasciatura tutto intorno al capo, molto stretta. Non sento nessun dolore. Non sento nessuna sensazione particolare. Se non avessi paura di esagerare, oserei dire che mi sento quasi bene.
Riesco a parlare normalmente, chiedo come è andata. Tutto bene, è la laconica risposta. Credo mi abbiano chiesto altro, ma non ricordo nulla in proposito. Il letto si muove, usciamo, andiamo nella saletta accanto. Queste apparecchiature le riconosco immediatamente. E' una sala per radiografie. Sempre stando sdraiato nel letto, mi viene fatta una lastra alla testa, di fronte, e successivamente una di profilo. Mi accorgo che l'ago nella mano è stato sfilato via, non così quello nel braccio, che è sempre lì, con la valvola esterna in bella vista. Mi meraviglio di non provare alcun dolore. Mi meraviglio ancor più del fatto che mi sento davvero bene. O è la mia immaginazione? Vorrei scendere già dal letto e tornare in reparto con le mie gambe. Sento di muovere bene braccia e gambe, senza difficoltà. Vengo portato all'uscita del blocco operatorio dove le due solerti infermiere di prima, in blu elettrico, mi aspettano con un sorriso per riportarmi "lassù".
Afferro una mano del giovane medico che in pratica mi ha fatto da factotum: un'ultima grazia, capo. Che ore sono?
Guarda l'orologio da polso: sono ora le dieci e quaranta.
E' durato tutto due ore circa, minuto più, minuto meno.

sabato

GATTACA ( 2 marzo 2010, ora imprecisata )

Sono legato in un lettino, dentro una sala operatoria, a centinaia di chilometri da casa.
Fra pochi minuti mi apriranno la testa per mettere dentro un PC miniaturizzato.

E il bello è che sono stato io a volere tutto ciò, a scegliere questa opzione.

Paura? Nessuna. Tipico dei folli. Oppure no?

Ma allora perchè l'ho fatto? Bella domanda.

L'ho fatto perchè non ho più nulla da perdere,
Perchè la mia vita è ormai ridotta a brandelli,
Perchè dentro di me so che andrà sempre peggio,
Perchè questa è l'unica cosa che -forse- mi permetterà
di tornare ad avere uno standard di vita decente.

L'ho fatto perchè non ho nulla da perdere,
infatti ho già perso tutto.
L'ho fatto perchè forse un domani potrò sfruttare appieno
le mia capacità, e non vivere in maniera umiliante,
come se avessi il freno a mano tirato.

Essere handicappato nel fisico e avere un cervello funzionante,
ecco, questa è la più grande delle disgrazie.

L'ho fatto perchè questa è rimasta l'ultima cartuccia
che posso sparare per colpire il bersaglio della mia vita,
l'ho fatto perchè è giusto e doveroso darmi un'ultima possibilità.

Non penso a "se andrà male", perchè va già male.

Sono pazzo? sì, ma è una pazzia ben ponderata.
Sono un disperato? Sì, ma è una disperazione lucidissima.


Il medico mi appoggia l'inalatore sul naso.
Sento il vento gelido del protossido d'azoto che mi entra nei polmoni.
Sono sicuro di addormentarmi sorridendo.

venerdì

Sancta Sanctorum (2 marzo 2010, ore 8.30)

Vengo portato in una stanza vagamente ottagonale, gelida, dove cinque o sei persone vestite interamente in verde e con la mascherina indosso mi stanno aspettando. Al centro campeggia una sorta di complicatissimo macchinario semovente, in alto una sorta di parabola a specchio illumina l'ambiente. Alla parete c'è il macchinario per l'anestesia.
Siamo arrivati finalmente nel sancta sanctorum.
Ci sono tutti, manca solo il chirurgo, che arriverà al momento finale. I medici si tirano giù la mascherina al momento di parlarmi, cosa che non fanno di solito, ma in quest'occasione si sa che il paziente capisce solo guardando le labbra, quindi giù le mascherine quando serve.
Mi mettono una cuffia intorno alla testa, a coprire l'orecchio destro lasciando scoperto il sinistro. Mi sistemano il cuscino dietro la testa. Un altro panno verde viene posizionato a lato della testa (questo servirà per raccogliere il sangue..)
Problemi di deglutizione? Dentatura irregolare? Nossignore. E' importante saperlo, per l'inserimento dei tubi dell'aria. Durante l'anestesia totale non si respira più, quindi la respirazione è artificiale. Nei bambini si applica la maschera dell'ossigeno sul viso, con gli adulti invece bisogna usare i tubi da inserire in bocca (ma non ti preoccupare, li mettiamo solo quando sei già addormentato, non ora)
Allora ragazzo sei pronto per farti una bella dormita? Il medico, che da mezzora sta facendo la solfa della "bella dormita" arriva con una siringa senza ago, e mi inietta nella valvola sull'avambraccio una dose minuscola di liquido incolore. E questo cosa è? l'anestesia? Nossignore, è la pre-anestesia. Serve par farti girare un pò la testa, l'anestesia te la facciamo dopo.
Tempo dieci secondi e la pre-anestesia è già in circolo. me ne accorgo perchè mi sento gli occhi chiusi. Ma non perchè "gira la testa", bensì perchè l'ambiente intorno a me diventa in un istante ancora più luminoso, sembra di star guardando il sole. E' giocoforza tenere gli occhi chiusi. Chiudo gli occhi e mi sento bene....
Ma sono ancora sveglio. Ruoto la testa, e vedo accanto a me il "ferrista" che prepara tutti i bisturi, non mi degna di uno sguardo, tutto assorto con i ferri posizionati in bella mostra uno dopo l'altro. Riconosco tra gli altri l'anestesista vista nel reparto il giorno prima.

Mi sforzo di tenere gli occhi aperti, ruotando la testa a destra e sinistra. Il medico che mi ha accolto per primo arriva da me e mi chiede quanto sono alto e quanto peso. La domanda mi sembra così scema in quel frangente, che gli rispondo facendo una battuta. Lui sorride. Ci siamo capiti, tu mi fai una domanda per tranquillizzarmi e distrarmi, e io ti rispondo con una battuta per farti capire che sono tranquillo.

I medici tirano fuori i tubi dell'aria e me li appoggiano sul petto, pronti per l'uso.
Un altro mi prende le braccia e me le blocca con le cinghie. Non posso praticamente più muovermi liberamente. Ruoto continuamente la testa per far capire a me stesso, che sono ancora sveglio, ancora non ho mollato. Rido, faccio battute, continuo a scherzare con il medico di prima.
Mi sembra di star vivendo una farsa.
E in quel momento mi fermo un attimo, e mi concentro su me stesso.

Pronti per la battaglia (2 marzo 2010, ore 8.00)

Si aprono le porte dell'ascensore e mi ritrovo in una sorta di girone dantesco. E non dico per scherzare.
Moltissimi pazienti, tutti a letto, sistemati in fila più o meno ordinata, sospinti da infermieri, vestiti tutti con la medesima divisa blu elettrico. E' una sorta di fila di attesa, dal momento che ognuno proviene da reparti diversi e tutti devono essere instradati secondo una medesima procedura. Siamo tantissimi, uno dietro l'altro.
Mi sembra vagamente di essere alla fila del casello autostradale, con tutte le auto incolonnate. Accanto a me c'è una ragazza che guarda fisso verso il soffitto, porta un adesivo attaccato con scritto "senologia". C'è un senso di straniamento assoluto. Penso cosa diavolo stia facendo io qui, lontano da casa, alle prese con un mondo e una serie di procedure che non conosco e non ho mai visto prima. Gli unici che sembrano comportarsi in maniera normale sono gli infermieri e il resto del personale. Ogni tanto la fila scorre in avanti, ognuno di noi compie qualche metro e poi si ferma, in attesa del "casello". Mi accorgo di star continuando a cincischiare con le mani il fazzoletto di carta, anche se la paura ha quasi ceduto il posto alla curiosità: anzichè essere in apprensione, mi sento curioso di "vedere come va a finire".
Arriva il mio turno. Arrivo a una sorta di check-in, mi controllano le cartelle cliniche, che uno delle mie infermiere ha provveduto a portare con sè, poi mi fanno scendere e cambiare letto. Vengo sistemato in un letto un pò differente, con un incavo all'altezza della testa e un poggia testa che può essere regolato in differenti maniere. Ecco una prima sensazione. Freddo. Molto più freddo rispetto ai piani superiori, e non solo perchè sono praticamente nudo sotto la casacca verde da sala operatoria. Fa realmente freddo. Senza bisogno di dirlo, le infermiere mi coprono con la coperta pesante. Mi sorridono con fare materno, per nulla affettato, e gliene ne sono davvero grato. Sala operatoria numero nove. Sento che ormai ci siamo. Il letto compie una gimkana, destra, sinistra, destra, e si arriva al blocco operatorio. Ora fa davvero freddo.
Nelle sale operatorie, la temperatura è tenuta molto bassa per un motivo molto semplice: le basse temeprature impediscono la replicazione del batteri e altri organismi patogeni. Per questo quando si entra in sala operatoria si sente sempre una sesazione di gelo.
La mia sala operatoria è la numero nove. Ultima a sinistra, alla fine del lungo corridoio dove si affacciano tutte le sale. La sensazione di freddo è nettissima. Diciamo la verità, sembra che da qualche parte provengano folate di gelo. Vengo preso in consegna dal personale apposito. Le infermiere in divisa blu elettrico mi salutano, sempre sorridendo, e mi danno appuntamento "a dopo". Sorrido, augurandomi sia un saluto di buon auspicio.
I nuovi addetti aprono le porte della sala operatoria e mi ritrovo in una piccola stanzetta alla cui estremità vi è una colossale porta scorrevole in acciaio. Uno di loro mi saluta, è un giovane medico, ha quarantanni come me, anche se ne dimostra di meno, prova a sorridermi, a farmi qualche battuta. Rispondo a tono, e mi accorgo che immediatamente l'umore generale diventa più disteso, quasi amichevole.
Uno dei problemi maggiori che si riscontrano durante le operazioni in anestesia generale è il terrore che si impadronisce del paziente, che provoca le reazioni più inconsulte e una quantità di problemi enormi al personale operatorio. Avere un paziente in condizioni serene e rilassate facilita enormente il lavoro e il decorso post-operatorio.
Ovviamente queste cose le avevo apprese in precedenza. Esattamente come avevo letto in precedenza la cosa più importante che c'è da sapere a proposito di anestesia, oltre alla condizione di tranquillità. Una cosa che non ti dice nessuno, e quando te la dicono è già tardi.
Essere in condizioni di normopeso e non sovrappeso facilita molto tutto il processo di anestesia. E' pertanto consigliato, nei mesi precedenti all'operazione, mettersi a dieta e perdere più chili possibile. Più si è leggeri, meno problemi si avranno.
E anche della necessità di essere il più possibile tranquilli e rilassati, avevo letto prima di venire in ospedale. Il problema è, piuttosto, come diavolo si fa ad essere tranquilli e rilassati in un frangente del genere.....
L'anestesia generale è una sorta di "sospensione" della coscienza. Nel momento del risveglio, ci si sentirà esattamente come al momento di chiudere gli occhi. Pertanto, a una condizione terrorizzata si riscontrerà, al momento del risveglio, una pari condizione di paura e angoscia. Similmente, addormentarsi tranquilli e sereni darà luogo a un risveglio tranquillo e rilassato.
Sempre ridendo e scherzando ("Allora, sei pronto a farti un'altra bella dormita?") mi vengono applicato due aghi, uno nell'avambraccio, l'altro sul dorso della mano, ambedue provvisti di valvola. E' molto facile che le vene si rompano, quindi si procede per tentativi. Se non altro, non si sente pressochè dolore.
Sono combattuto da una parte dalla fifa dell'ignoto, dall'altra dalla curiosità. Per cui a un certo punto sbotto: "sentite ragazzi, vi assicuro che me ne sto buono e tranquillo se mi spiegate, passo passo, tutto quello che mi state facendo."
Sempre con un sorriso da parte di tutti gli astanti, la proposta viene accettata. La mia tranquillità in cambio della descrizione di tutto quello che accade.
L'ago con valvola nel braccio servirà per le sostanze che dovranno essere iniettate, una dopo l'altra, in momenti diversi, e precisamente pre-anestesia, anestesia, un farmaco per far scendere la pressione del sangue, e poi altri farmaci ("Dobbiamo farti scendere la massima a 80") cioè in altre parole il cuore deve pompare pochissimo sangue, perchè così quando mi apriranno la zucca uscirà pochissimo sangue. Ragionamento che non fa un grinza.
E l'ago nella mano a che serve? Eh, quello serve per le emergenze, se qualcosa dovesse andare storto, abbiamo un punto nel quale possiamo immediatamente inserire le sostanze che potranno servire. Evviva.
Dopodichè vengo finalmente a conoscenza del perchè mi hanno fatto spogliare: perchè l'intero corpo viene rivestito di elettrodi adesivi. Un enorme elettrodo-cerotto viene applicato sulla coscia, altri sul torace, per l'elettrocardiogramma, altri ancora sulla braccia, e financo sulle dita. ("Tutte queste cose verranno poi collegate alla macchina per l'anestesia, ci sarà una persona che si dedicherà interamente a monitorare le tue condizioni sulla macchina, senza perderti di vista un attimo") Attimo dopo attimo, vengo a conoscenza di un mondo, di una serie di cose che non conoscevo, che sono allo stesso tempo terrorizzanti e affascinanti.
Ok, possiamo andare. Dentro, ti diremo le ultime cose, adesso è ora di entrare.
Sentite, ma mi potete dire cose devo fare io, di preciso? Beh, te lo abbiamo già detto, devi farti una bella dormita!
Un'ultima grazia al condannato a morte, cavalieri: mi sapreste dire che ore sono?
Ma certo, sono le 8.25.

Con gesto teatrale la porta d'acciaio a scorrimento si spalanca, e un'onda gelida mi investe.

Sempre dentro il letto, varco l'ingresso trattenendo il fiato, e finisco in un ambiente luminosissimo.

Alle armi signori! "Qui si vedrà vostra nobilitate".

martedì

Inconvenienti (2 marzo 2010, ore 7.30)

Mi sveglio, o forse sono stato sempre sveglio in queste ultime tre-quattro ore, rivoltandomi continuamente nel letto, credendo di dormire. Alle 7.15 mi levo in piedi, e mi preparo per andare in bagno. Poi voglio fare le cose con rilassatezza, voglio andare in sala operatoria dopo essermi preparato con calma, seguendo i miei ritmi. Rituali molto raffinati che servono a darmi tranquillità. I miei genitori verranno per salutarmi più tardi.
Sono aspettato in sala operatoria per le ore 10, dopo il ragazzino dodicenne, che ieri ha passato l'intera giornata guardando i cartoni in TV, come se nulla fosse.
Entra l'infermiera e mi comunica che il ragazzino ha avuto problemi e quindi l'ordine è invertito.
Si prepari immediatamente, deve scendere in sala operatoria fra un quarto d'ora.
Se è possibile spiegare a sè stessi il significato della parola cortocircuito, ebbene, è quello che mi accade in quel momento. Tutti i miei programmi sono andati a farsi friggere, tutta la mia tranquillità, serenità, aplomb, scomparsa, volatilizzata in un istante.
Cosa porca miseria devo fare adesso?
Entrano nella stanza le addette che dovranno portarmi in sala. Le vedo tutte bardate, in divisa blu elettrico, le immagino come i carnefici che aspettano per portarmi al patibolo, sono entrate lì solo per me. Cominciano ad armeggiare intorno al mio letto, per aggiungere le ruote e renderlo mobile. Ed io, accidenti, che non ho nemmeno il tempo per andare cinque minuti in bagno.
Chiedo all'infermiere di chiamare i miei genitori, almeno li vorrei salutare. Ho la strana sensazione di aver chiesto l'ultimo desiderio del condannato a morte.
Fatemi almeno vedere i miei cari, dovesse essere l'ultima volta....
Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Seguo le istruzioni dell'infermiera.
Si spogli, rimanga solo con gli slip e calzini....
Adesso si metta questa casacca verde...
Si metta a letto.

Arrivano i miei in quel momento. Li abbraccio quasi piangendo, e loro sono imbarazzati, non sanno che dire. Mi tolgo l'apparecchio acustico sinistro e lo consegno a mia madre come se fosse una reliquia. Lo guardo per un'ultima volta. Addio.
Due infermiere mi coprono con una coperta leggera, ne tengono pronta una seconda più pesante. Mi faccio disegnare una gran freccia rossa sulla guancia sinistra, diretta verso l'orecchio.
Signori è qui che dovete lavorare.....
Voorrei mandar già un sorso d'acqua, ma non si può.
Anestesia imminente, verboten.
Arraffo un fazzolettino di carta e comincio a giocherellarci.
...quando massima è la tensione, prendete un oggetto qualsiasi in mano, giocateci e dedicate la vostra attenzione a quello, e non pensate al resto...... .
Il letto si muove, esco dalla stanza scortato e sospinto dalle due infermiere. Chiedo che ore sono. Le 7.35. Voglio ricordarmi questo momento. Dicono che dopo l'anestesia ci si scorda tutto, vediamo se è vero.
Ultimo saluto ai miei, ho l'impressione di stare per piangere. Voglio, fortissimamente voglio rivedervi, tornare a casa, voglio tutto come prima. A dopo!

Il letto attraversa tutto l'ospedale, Nei vari reparti pazienti e parenti mi lanciano un'occhiata e si scansano con fare rispettoso. Attraverso i corridoi con due ali di folla rasente i muri voltate verso di me. Grottesco. Mi vien da pensare: ecco il condannato che va al patibolo.
C'è un orologio appeso alla parete : 7.40.
Arriviamo all'ascensore, le porte si spalancano.
Piano -2
Discesa agli inferi.

lunedì

Notte prima dell'operazione (1-2 marzo 2010)

Mi sveglio alle 3.30 della notte.
Dire notte è eccessivo, perchè nella stanza dell'ospedale non è mai buio, c'è sempre una fioca luce accesa, a filo di parete, che riverbera per tutta la stanza. Le serrande sono sollevate, e al di là dei vetri si vedono gli ultimi palazzi prima della campagna, con le luci dei lampioni a illuminare il tutto. Nemmeno il cielo è buio, a causa delle nuvole che fanno da sfondo.
Di Principe di Condè, quello che dormiva profondamente prima delle battaglie, ce ne è stato uno solo. Io, più modestamente, che non ho voluto tranquillanti nè sonniferi, mi trovo sveglissimo alle tre e mezzo del mattino.

E allora mi alzo dal letto, in pigiama e ciabatte, ed esco dalla stanza. Ovviamente non c'è anima viva. Tutto il corridoio dell'ospedale è illuminato da fioche luci. Ci sono gli infermieri di servizio, ma non mi prestano attenzione. Attraverso tutto il reparto di degenza e vado nella zona dove si affacciano i reparti di riabilitazione: logopedia- audiometria- mappaggi..... Sono nel luogo che nei mesi successivi, se tutto andrà bene, dovrò frequentare con una certa assiduità.
C'è una lunga vetrata di fronte il reparto, che dà sull'esterno. Mi appoggio alla balaustra e guardo fuori, nella notte color inchiostro, con le luci lungo le strade che sembrano tremolare.
Le ombre dei palazzi e degli alberi si stagliano immobili su uno sfondo di nuvole.

E io mi domando cosa sto a fare alle 3.30 del mattino, in pigiama, nel silenzio assoluto, a centinaia di chilometri da casa, dentro un ospedale, fissando attraverso una vetrata per guardare un panorama notturno.

E penso (penso troppo, lo so) che sinceramente non pensavo che sarei arrivato a questo punto, che queste cose capitano sempre agli altri, mai a sè stessi, penso che la mia vita sta per cambiare, penso che ancora adesso, a poche ore dall'intervento, non provo paura, penso che nella vita avevo tanti sogni, tanti desideri, e chissà se li riuscirò mai a realizzare, penso che chissà se riuscirò a mettere su una famiglia, penso a cosa sarebbe stato avere un figlio che dice papà e io che non lo sento e non posso rispondergli, penso quante umiliazioni ho subito in quaranta anni, ma anche quante soddisfazioni, penso che forse ormai sono vecchio e la mia vita è ormai andata, penso che ancora posso combinare qualcosa di buono.

Penso a cosa Dio ha voluto, e vuole ancor oggi da me. E se magari non sia stato lui ad avermi portato fin qui.

Sono le quattro del mattino, mi stacco dalla balaustra e torno nella mia stanza.
Ma prima entro in bagno, accendo la luce e tiro fuori la macchina fotografica.
E' l'ultima volta che vedo, che sento il mio orecchio "al naturale", sono questi gli ultimi momenti che indosso l'apparecchio acustico, dopo quasi quarantanni di onorato servizio. Non lo metterò mai più.
...Onore delle armi, vecchio mio, hai fatto il tuo lavoro magnificamente...finchè hai potuto.
Mi scatto una foto di profilo, con l'orecchio e l'apparecchio acustico in bella mostra.

Torno ad dormire. Manca poco ormai.

domenica

Ospedale (1 marzo 2010)

Entro all'ospedale al mattino presto, subito mi mettono il codice a barre al polso (per l'identificazione, come un prodotto del supermercato) e in men che non si dica mettono in chiaro la situazione: oggi ricovero, domani mattina operazione, siamo in tre, insieme a me c'è anche un ragazzino di dodici anni e una ragazza della mia età, in attesa dell'operazione. Il giorno successivo (terzo giorno) sarà di degenza post-operatoria e il quarto giorno dismissione ritorno a casa. Tutto perfettamente oliato, una vera catena di montaggio, del resto lì le operazioni di questo tipo sono abbastanza di routine.
Subito esami del sangue e delle urine, poi anamnesi, ovvero lunga chiacchierata con i medici per conoscere un pò di più del paziente, infine colloquio con l'anestesista.
Tutte procedure obbligatorie. Mi inalbero solo quando per due volte consecutive sbagliano a scrivere orecchio sinistro e scrivono invece orecchio destro. Sembra la storiella di quello con il braccio sinistro rotto, che si ritrova con il destro ingessato. Alla fine, con un tratto di pennarello (è la procedura standard) mi faccio disegnare una gran freccia rossa sulla pelle, indicante l'orecchio sinistro. Ecco, adesso siamo sicuri: -------> SINISTRO, non destro.

L'ospedale mi piace, piccolo, pulito, gradevole per quello che può essere un ospedale. Noi tre pazienti siamo sistemati in stanze diverse. Vedo quanto siamo diversi. Il ragazzino praticamente non sa nemmeno cosa gli succederà, è lì accompagnato dalla mamma, e guarda ininterrottamente la tv nella sala d'attesa del reparto. La ragazza è un fascio di nervi e ha una fifa blu per l'operazione.
Io dò l'impressione di attendere l'approssimarsi degli eventi senza particolari emozioni.

Passo le ore a letto, a leggere, o passeggiando nei corridoi. Non mi sento nervoso o impaurito, quanto in fatalistica attesa. In realtà sento di non poter far più niente, sento -da ormai molto tempo- che tutto è ormai in altre mani.
Ecco, questa è una sensazione sgradevole. Sentire di essere impotente in qualcosa che riguarda il proprio destino.

I miei mi fanno compagnia seduti nella stanza accanto al letto. Hanno una virtù che apprezzo moltissimo: il saper stare in silenzio per ore, senza dire una parola. Non c'è bisogno di dover parlare per forza, dicendo un sacco di baggianate tanto per tranquillizzare chi ti sta davanti, è di gran lunga preferibile la presenza, l'esserci. Basta la presenza. Eccomi, ci sono. Sostanza, non apparenza. Alzo gli occhi e li vedo. E' sufficiente.
E' la presenza ad essere di conforto, anche senza nessun gesto o parola particolari.

Le infermiere mi offrono i tranquillanti, i sedativi, "qualcosa per stare tranquillo", qualcosa per dormire. Rifiuto tutto.
Rimango digiuno, nè bere nè mangiare, a causa dell'anestesia imminente.

Le ore passano.

Partenza (28 febbraio 2010)

E' arrivato il giorno di andare, partiamo prestissimo, in macchina insieme ai miei, che non vogliono mancare di farmi sentire la loro presenza.
Dobbiamo attraversare metà paese, per fortuna la neve caduta fino a due giorni prima è ormai sciolta, le autostrade non presentano problemi.
Penso ai miei che mi accompagnano e penso che è arrivato un gran giorno non solo per me, ma anche per loro. Già nel 1975 mia madre si interessava "all'oreccho bionico che un giorno arriverà", raccoglieva tutti i ritagli di giornale che parlavano di questa operazione, più che pionieristica, fantascientifica, e mio padre era pronto ad andare un giorno tutti quanti in America per l'operazione.
Vedi come è fatto il progresso, sono passati 35 anni esatti e quel momento è arrivato, ma anzichè in America andiamo a 600 chilometri da casa nostra.
Non c'è niente di "viaggio della speranza", bensì solo di un gran punto interrogativo che mi aspetta.

sabato

Non mi vedrai più così (27 febbraio 2010)

Saluto gli amici più cari, in questi giorni. Quelli che non posso vedere di persona li avviso con un sms. Gli altri, di persona.
Un vecchio amico di università festeggia i quarant'anni, è davvero una insolita occasione per accomiatarci. Il tema della festa, manco a farlo apposta, è "Come Eravamo".
Un tuffo nei nostri anni '70 e '80, musiche, canzoni, oggetti, ricordi.
Mi sembra di passare in rassegna tutta la mia vita fino ad ora, siamo tutti in pieno "nostalgic mood". E tutti con un sospiro, quasi a voler sottolineare "come si stava bene un tempo quando eravamo giovani".
La festa ha per me un effetto strano, mi sembra come un ripercorrere tutte le tappe precedenti, riassumerle in poche ore, per giungere ad adesso. E poi? Cosa ci riserva il domani? Spero che ti sia goduto questi momenti, ragazzo, perchè del domani non v'è certezza....
C'è un significato recondito in tutto questo?

Al termine della festa, lui mi abbraccia con affetto e un gran sorriso: quante ne abbiamo passate insieme! sono più di venti anni che ci conosciamo. Vorrei dirgli in quel momento tante cose. Ma gli dico molto semplicemente, in soffio di voce: amico mio, tu non mi vedrai più così, come sono adesso.
Lui mi guarda con un sorriso sorpreso, come se in quel momento avessi detto una baggianata enorme (non mene stupirei), poi, guardandomi, mi risponde:
"Si, lo so....un domani ti vedrò meglio di adesso".

Ci abbracciamo di nuovo, e stavolta sorrido anch'io.

Ritorno alla Torre (26 febbraio 2010)

Il mare d'inverno, è uno spettacolo particolare.
Niente a che vedere con il mare d'estate, cielo azzurro, bagnanti e aspetto da cartolina.
Sotto un cielo grigio e compatto, una distesa d'acqua con la stessa tonalità, calma e piatta. Solo le onde, in prossimità della spiaggia, ne increspano la superficie. Anche la spiaggia sembra più scura, quasi nera.
Non c'è un'anima viva.
Sono le nove del mattino, sono da solo sulla spiaggia.
Davanti a me la torre medioevale, ormai completamente diroccata e circondata dalle acque. E penso a lei.
Un giorno la portai qui, e l'amico che mi accompagnava mi scattò un foto che ricordo bellissima, in cui lei sembra volare, sospesa per aria per finirmi in braccio, con la torre sullo sfondo. E quella foto non sono più riuscito a vederla. Tienila, gli dissi, conservala, un giorno me la darai. Poi, invece,non l'ho più voluta.
In piedi sull'ultimo lembo di sabbia prima dell'acqua, guardo la torre lambita dall'acqua, lì da secoli, immota, silenziosa e sempre presente, e penso a lei, a quella fotografia, a quanti momenti abbiamo passato insieme.
E al fatto che alla fine l'ho ritrovata, e il modo in cui l'ho ritrovata.
E nel mezzo di una giornata uggiosa, ritrovo il sorriso, sento di non dover più aver paura.

Dall'ospedale mi chiamano per chiedere conferma.
Tranquilli ragazzi, sono tutto vostro.
Verrò ad operarmi, ma, ora, con tutt'altro spirito.

venerdì

Il regalo più grande (25 febbraio 2010)

Ho fatto tutto, prima di partire?
ho preparato tutto, ma ho fatto davvero tutto?
No, manca una cosa...

Chiamarla.
Voglio chiamarla.
Lei.
La ragazza con la quale sarei dovuto diventare una cosa sola
Con la quale avrei dovuto mettere su famiglia.
Lei, che diceva di amarmi tanto.

Quando una persona dice di amarti, per me è per sempre, anche se dopo finisce.
Sono due anni che non la sento, non so più niente di lei.
Lei non ha saputo più niente di me.
Non sa che mi è successo tutto quello che mi è successo.
E' viva? Sta bene? abita nel solito palazzo, dove innumerevoli volte andavo a prenderla per uscire?
Oppure no?
Non importa, la devo chiamare e metterla al corrente di questa cosa. E' giusto che lei sappia, lei era la mia metà, glielo voglio dire, e se mi sbatterà il telefono in faccia, pazienza.
Mentre la chiamo, mi girano in testa tanti pensieri. E adesso che le dico? Cara, come stai, tutto bene? sai, non ci sento più, la mia vita praticamente non esiste più, dovrò fare questo e quest'altro, e poi......
Ma capirà?
La chiamo (Dio benedica gli sms, lei non ne ha bisogno, ci sente perfettamente, per fortuna).
E' tutta contenta di risentirmi, carissimo, che sorpresa, come stai, tutto bene?
Mogio mogio, le racconto tutto quanto.

E lei risponde...sai, anche a me sono capitate tante cose in questi due anni....
E mi racconta la storia più incredibile , assurda, stupefacente che io abbia mai sentito, mi accorgo di piangere come un bimbo, seduto in poltrona, mi accorgo della lacrime che scendono sulle guance, ma non mi importa niente.

Capisco che non la vedrò più, ma capisco che l'ho ritrovata.
Mio piccolo Tesoro, chi avrebbe mai pensato che il destino avrebbe avuto in serbo per noi due un finale del genere... siamo sempre vicini come allora. Anche se forse non ti vedrò più.
Caro mio, saremo sempre vicini, e anche se forse non ci vedremo più, ogni battito del mio cuore sarà per te.
Spengo il telefono, e mi asciugo le lacrime.
Sì, adesso sono pronto per andare.

"Il Signore non toglie una gioia ai suoi figli, se non per darne in cambio una ancora più grande"

La tranquillità (24 febbraio 2010)

Oggi mi sento così tranquillo.
Quasi come se non me ne fregasse niente.
Si dice: "è la tranquillità della disperazione, di chi non ha più nulla da perdere". Non lo nego, è una tranquilità dovuta al fatto che ormai non c'è rimasto più niente da fare, se non aspettare gli eventi.
Un insieme di piccoli gesti quotidiani, ripetuti con calma, senza fretta, senza frenesie tipiche della vita di tutti i giorni. Un insieme di comportamenti dai quali traspare quasi una sorta di fatalità.
Potare gli alberi del giardino.
Sistemare la biblioteca.
Andare in soffitta a guardarsi i vecchi diari di scuola, i libri e i quaderni delle scuole elementari.

Ma allo stesso tempo, è la tranquillità di quello che sa di aver preparato tutto al meglio delle proprie capacità.
Mi viene in mente il principe di Condè, che dopo aver schierato la sera le truppe per la battaglia dell'indomani mattina, quando gli chiesero "Che facciamo ora?", rispose semplicemente "Abbiamo preparato tutto, andiamo adesso a farci un buon sonno". E il giorno dopo combattè la battaglia.

Effetti collaterali (23 febbraio 2010)

Ho in mano in foglio stampato dal web, nel quale sono elencati tutti i possibili "effetti collaterali" di una operazione standard di impianto cocleare.
Man mano che leggo mi accorgo di sorridere......

1 -Morte.
Mica male come inizio di lettura! L'ideale per mettersi di buon umore, verrebbe da dire. Per fortuna il solerte elenco ci avvisa che le percentuali di tale effetto collaterale sono davvero minime.

2- Paralisi dei muscoli della faccia.
Se non altro, siamo ancora vivi....anche se dobbiamo rinunciare al nostro fascinoso sorriso che ci aiuta nelle pubbliche relazioni

3- Meningite (e comunque solo in assenza di apposita vaccinazione).
Meningite? non mi vien nessun commento particolare.....

4- Perdita temporanea di sensazioni tattili nell'area operata.
E vabbè.....

5- Perdita di sensibilità - temporanea - a livello della lingua.
L'importante è che sia "temporaneo", perchè se non riesco più a sentire il sapore dell'abbacchio con patatine e delle lasagne al forno, vado e li ammazzo tutti.

7- Dolori sparsi alla gola, alla spalla, alla testa, gonfiori vari.
Troppo vago, bisogna essere più specifici.

8- Insufficiente funzionamento dell'apparato, con necessità di riposizionamento.
Ahia.....

9- Colesteatoma
....di corsa a vedere sull'enciclopedia che è questa roba......

10 - Cellulite dell'area chirurgica.
Accidenti! mi rovinerà la prova costume per quest'estate?

E qui smetto di leggere.
Va bene, direi che ci si può stare!

lunedì

Valigie (22 febbraio 2010)

Di solito preparo le valigie all'ultimo momento, penso e ripenso a cosa portare, tolgo, aggiungo, levo, cambio idea, rimetto, sostituisco qualcosa.
Adesso invece è tutto pronto, senza ripensamenti.
Manca ancora qualche giorno, la valigia è pronta e chiusa.

Mi sento vagamente come se avessi apppuntamento con un giudice severo, con il quale non ci saranno appelli, non saranno ammessi ripensamenti, non saranno tollerate manchevolezze.
Meglio essere preparati.

Mi sento una confusione mentale enorme, forse è meglio così. Se sapessi davvero cosa vado a fare, cosa mi aspetta, forse non avrei il coraggio di farlo.
Ho la sensazione di non capire più niente, di non sapere più nulla.

Quando arriva questa sensazione, allora faccio finta di niente.
E' come se mi isolassi dai problemi, se non pensassi, e mi concentrassi su altre cose. Ma so benissimo che è un momento di emergenza. Lo faccio perchè dentro di me so che "uomo tranquillo ragiona meglio"
E così riesco a mantenere una serenità di fondo in questi giorni.

Il frullatore (21 febbraio 2010)

Mi sento
come se fossi stato infilato dentro un frullatore.
A tutta velocità.
Non riesco più a capire cosa succede intorno a me,
E nemmeno cosa stia succedendo a me.

Barba e capelli (20 febbraio 2010)

Mi sono fatto crescere i capelli negli ultimi mesi.
In verità li tengo sempre molto corti, per una questione di praticità. Ma visto che dovrò radermi completamente la testa per l'operazione, ho deciso di farmeli crescere: sono curioso di vedere come mi stanno, a questa età.
Visto il "successo" ottenuto, credo che difficilmente ripeterò l'esperimento!

Mi scatto alcune fotografie, da grande appassionato di fotografia quale sono, faccio volentieri da soggetto a me stesso, e a rivederle, sono così orribili che no, non credo che le mostrerò mai ad alcuno.

Poi il grande passo, rasatura completa. In verità l'ospedale si era offerto di farmi il servizio, ma preferisco farmelo da me. Lo so che non cambia nulla, ma il "farsi le cose da sè" dà un'altra soddisfazione, un'altra consapevolezza. E' difficile da spiegare, ma sento le cose più mie, mi sento più partecipe di quello che accade.

Davanti allo specchio, con il tagliacapelli elettrico dò una prima ripassata, e intanto penso a me stesso. Lo so, penso troppo. E troppo allo stesso soggetto, devo dire!
Schiuma da barba a ricoprire interamente la testa. Rasoio. Una striscia dopo l'altra. Lavoro lentissimo.
Ci metto più di un'ora.
Alla fine mi vedo, come non mi sono mai visto. Completamente calvo. E'la prima volta che mi vedo così.
Mi scatto una fotografia davanti allo specchio.
Mi vien da sorridere. Sono un'altra persona rispetto a prima.
E mi rendo conto che sono completamente in altre mani.

domenica

Ritorno all'ovile (19 febbraio 2010)

Passo sempre più tempo dai miei genitori.
In effetti, posso dire di essere tornato a vivere insieme a loro.
Apparentemente siamo tutti tranquilli, ma si vede, si capisce che loro sono preoccupati, quanto e più di me.
Ho la sensazione che siamo alla fine tutti sulla stessa barca: io convivo con questo problema da sempre, loro per forza di cose si sono sempre trovati coinvolti.
Sempre tutti insieme, con molta dignità devo dire, sopportando in silenzio, senza piagnistei. In fondo è un problema presente da sempre, quindi è un qualcosa che ormai fa parte di me. La situazione è peggiorata, ma non ho comunque voglia di lamentarmi. Mi basta guardarmi intorno per scoprire infinite miserie. Lamentarmi? Siamo circondati dalle sofferenze, è molto meglio chiudersi in un dignitoso silenzio e stare zitti. Almeno per me.
Più che lamentarmi, cerco di darmi da fare per il dopo. Come sarà il dopo? Non lo sa nessuno.
Nondimeno, cerco di essere pronto per tutto quello che sarà.
Mi scopro sereno e tranquillo più di quanto mi aspettassi, e mi meraviglio di ciò.
Del resto non è possa fare molto, adesso.
Mancano solo pochi giorni.

Tre su Cinquanta (18 febbraio 2010)

Torno dalla logopedista, non quella mia di 35 anni fa, ovviamente, ma una che conosco da molto tempo, e che ormai mi conosce parimenti bene.
Le espongo tutti i miei problemi, le comunico la mia decisione di farmi l'orecchio bionico.
Lei è entusiasta e curiosa al tempo stesso. Con i bambini piccoli va benissimo, dice, ma con gli adulti? E' un grosso punto interrogativo.
Vedo come tutti pezzi si incastrano l'un con l'altro. Quello che mi è stato detto all'ospedale, quello che mi dice la logopedista.....tutto alla fine torna.

Facciamo un pò di valutazioni per vedere a che punto mi trovo.
Riconoscimento presenza/assenza di suono, identificazione, discriminazione, riconoscimento.
Risultato prossimo allo zero dappertutto. Nemmeno la distinzione tra voce maschile e femminile, riesco a cogliere.
Avvilente. Una cosa è sapere che "non ci sento", un'altra è vedere questa mancanza disegnata, scritta, tracciata su carta, con dimostrazioni pratiche e concrete.
La tua incapacità, ufficialmente certificata.

L'ultimo esercizio è quello del riconoscimento delle parole. Cinquanta parole vengono pronunciate alle mie spalle, e le devo ripetere per vedere se le ho "capite".
Risultato: tre parole azzeccate su cinquanta, di cui due articoli (il /la).
Vogliamo dirla tutta? Con un risultato del genere, è come se si partisse dal nulla.
La logopedista mi congeda dicendo che fra un anno, dopo l'operazione, vuole che io arrivi a cinquanta su cinquanta. Ci metterei la firma....
Bene, questo è il punto di partenza: tre su cinquanta.
Ma per me, per come si sento adesso, è come se fosse zero su cinquanta.

sabato

Portare la croce (17 febbraio 2010)

Mi è sempre piaciuta molto l'espressione "ognuno porta la propria croce".
L'ho sempre fatta mia, ho sempre saputo, o pensato di sapere, quale fosse la mia "croce".

Ma ogni volta la vita mi ha sorpreso, e modificato il fardello in maniera imprevedibile.
Mi ero abituato alla mia croce, pensando che ormai la situazione fosse chiara e stabilizzata, e invece ho scoperto che c'era un fondo ancor più "in fondo".
Ho pensato che tutto mi fosse chiaro, e invece non era chiaro un bel niente.
Ho pensato di poter prevedere tutto, e invece non avevo previsto nulla.
Pensavo di sapere, e al contrario ho scoperto di non sapere nulla.

Ho smesso di fare previsioni, e per il momento, vivo alla giornata senza fare troppi programmi.
La sensazione è che c'e ancora tanta croce da portare, e forse, per tutta la vita.
A questo punto la domanda diventa: cosa riuscirò a fare nella mia vita, da qui in avanti?
Questo mi tormenta; intanto, continuo a portare la croce.

Ritorno a scuola (16 febbraio 2010)

Quando torno a casa dei miei, mi capita di passare davanti alla vecchia scuola elementare, che è rimasta molto simile a quella che frequentavo più di trenta anni fa.
Mi piace fermarmi davanti alla cancellata e pensare ai tempi andati....
Mi tornano in mente tanti episodi e ogni volta penso a come "eravamo felici senza saperlo".

E talvolta mi capita di pensare che forse non ci sarei mai dovuto andare, in quella scuola.
Al momento di iscrivermi a scuola infatti venne fuori il problema dovuto al fatto che ".....suo figlio è handicappato, deve andare alle scuole speciali", ovvero le scuole riservate ai bambini "con problemi".

E mia madre fece fuoco e fiamme per mandarmi invece alla normale scuola pubblica, perchè pensava che stare insieme ai bambini "normali" mi avrebbe fatto incommensurabilmente bene, mi avrebbe preparato a quella che sarebbe stata la vita del domani.

Anni dopo ho capito che mia madre in quel momento aveva preso, lei, la scelta la più azzeccata della mia vita.

Non sarei mai dovuto andare in quella scuola, dove ho conosciuto tanti compagni di classe con i quali ancora oggi mantengo rapporti, dopo più di trenta anni. Con i quali mi rivedo per delle bellissime cene "amarcord" durante le quali rimembriamo i tempi andati.
Per fortuna mia, è andata diversamente.

Scuola, palestra di vita. Posto dove non si impara solo solo "come si chiamavano i re di Roma", ma anche come affrontare l'esistenza, come rapportarsi con gli altri, come imparare a vivere.

mercoledì

Essere metodici (15 febbraio 2010)

C'è un film che mi piace in modo particolare.
Si intitola "Memento" , che in latino può significare: "Ricòrdati!".
Non vado a narrare la trama di questo film che già di suo è molto interessante e ben realizzato, prendo solo spunto dal protagonista che, nel corso del film, ripete più volte bisogna essere organizzati, bisogna essere metodici, bisogna essere precisi.

E' esattamente quello che mi trovo a dover fare io da una vita, essendo però allo stesso tempo un soggetto al quale non dispiacciono bellezze e virtù della pigrizia.

Ma in questi giorni, essere metodici è un imperativo per non impazzire, per non lasciarsi andare.
Intendiamoci, non è che uno vede peggiorare la propria vita e comincia a dare i numeri. Molto più semplicemente, comincia a "mollare". Abbandona il proprio stile di vita esigente, per uno più accomodante.
Comincia a leggere i quotidiani sportivi come importante occupazione della propria giornata. Passa molto tempo al bar non si bene a fare cosa, oppure al mattino si alza quando gli pare. Mette il calcio al primo posto. Comincia a fregarsene di quello che lo circonda. Non apre più un libro perchè tanto leggere non serve a niente. Se una cosa non serve a "divertirsi" non viene nemmeno presa in considerazione.
Alcuni lo chiamano divertirsi alla grande, io lo chiamo morte civile.

E allora, per me in questi giorni è imperativo leggere almeno cinquanta pagine al giorno, tenere pulita casa, camminare molto a piedi, fare tanti piani di scale, lentamente e di corsa. Aprire i libri e studiare, per non dimenticare quello che mi serve. Fare un po' d'ordine nelle mie carte che ormai hanno raggiunto un livello preoccupante. Guardare ogni sera un buon film, o un buon documentario. Mangiare il più possibile sano, niente schifezze, sempre allo stesso orario. Essere metodici.

Ma a che serve tutto questo? Semplicemente a "mantenere in ordine sè stessi".
Mi domando se sto facendo la cosa giusta, o se invece faccio pena, se mi sto riducendo lentamente come un poveraccio, ormai fiaccato dalla vita.
Dentro al cervello però, continuo a lavorare, pensare, agire e riflettere esattamente come prima. Forse è questa la cosa più importante: salvaguardare la mente.

Sono diventato come un vecchietto. Per non impazzire, e sempre pensando, con ferrea convinzione, che "domani sarà meglio".
Non ne dubito nemmeno un secondo.

Altrimenti.... altro che impazzire.
Ma la vita è sempre in salita, giusto?
E allora, buona salita, per l'ennesima volta.
Basta saperlo.

Gli altri mi dicono (14 febbraio 2010)

Gli altri mi dicono che sto esagerando.

Che me la prendo troppo, che la vita continua, che in fondo tanta gente sta come me, o peggio di me, e in fondo loro "hanno accettato la loro condizione e non stanno a fare tante storie".

Cosa significa accettare la propria condizione senza stare a fare tante storie?
Arrendersi?
Dargliela vinta alle difficoltà della vita?
Rinunciare a sogni, desideri aspettative e aspirazioni?
Rassegnarsi a essere quello che si è diventati?

Io non mi rassegno, non mi arrendo, non rinuncio a quello che mi sembra importante, non mi faccio sconti, non smetto di fare quello che ho sempre fatto, e se ho una possibilità di tornare quello che ero prima (o anche meglio), ebbene mi gioco questa possibilità fino in fondo.

Io non ho mai smesso di sognare, figuriamoci se smetto ora.

Sognare? Si, ma sognare che cosa?
Sognare quello che ognuno di noi sogna, secondo le proprie caratteristiche e il proprio modo di essere.

E se non avete più nulla da aspettarvi dalla vita, nessun desiderio, nessun sogno, allora sì, ecco, è adesso che avete fatto il più grande affronto alla vostra esistenza.

Altro che "non stare a fare tante storie".

martedì

In trincea (13 febbraio 2010)

Per tutti coloro che voglono capire cosa significa vivere in trincea, sulla difensiva.

Guidando in macchina, prestare molta più attenzione del solito a chi ti sta davanti e dietro: dal momento che in questi tempi di splendida civiltà si guida prevalentemente con il clacson, le attenzioni devono raddoppiare.

Al lavoro, limitarsi a operare sul PC, riducendo al massimo occasioni di dialogo con colleghi per evitare errori di comprensione imbarazzanti, per non dir di peggio.
E comunque, tenere a mente che in queste condizioni è già tanto avere un lavoro e uno stipendio, quindi mai lamentarsi.

Se qualcuno rivolge la parola, abbozzare, sorridere, rispondere con frasi fatte, il meno possibile impegnative e svicolanti -sapendo che non si farà bella figura comunque, almeno si cerchi di far sì che valga la filosofia della massima riduzione del danno.

Fare massima attenzione quando si esce, si va a fare la spesa, si entra in un bar o in un negozio. Anche in questo caso, preparare con cura le frasi in modo da eliminare al massimo le possibilità di dialogo, nel qual caso la butterà male.

Scordarsi, in queste condizioni, la possibilità di fare colpo su qualche bella donna.

Tenere conto che in caso di controversie con l'uomo della strada, la propria posizione è sempre e comunque quella dell' "handicappato", anche se in tempi politicamente corretti forse ciò non verrà fatto vedere (e anzi alcuni si faranno vedere "democratici" nei propri confronti).

Cercare di far sì che il senso di precarietà e provvisorietà assoluta non rovini l'esistenza.

Molti non sanno (12 febbraio 2010)

Mi rendo conto che non ho detto a molte persone (colleghi di lavoro, vicini di casa, amici) che fra poco andrò in ospedale, farò l'operazione e comincerò una riabilitazione che si prospetta lunga.
Mi chiedo se avessi dovuto farlo, se non ho mancato di rispetto a qualcuno.
Penso che se andrà tutto bene, lo potrò raccontare di persona, e ci faremo quattro risate pensando a quello che è successo.

E se non andrà bene, non ci sarà stato alcun bisogno di dirlo in anticipo.

Discorsi folli (11 febbraio 2010)

Ascolto i discorsi dell'amico, il quale è all'oscuro di quello che sto passando. Del resto, non vado certo a diffondere la notizia ai quattro venti, ehilà carissimo, fra poco vado in ospedale, mi faranno questo e quest'altro, chissà cosa mi succederà.

Quindi lo lascio parlare, e lo ascolto. Mi è sempre piaciuto ascoltare la gente. Lo sento dire, con gli occhi che splendono dall'entusiasmo, che finalmente tra poco potrà mettersi alla guida dell'auto costosissima -settantamila euro!- che sogna da tanto tempo, l'ha già ordinata, presto andrà dal concessionario a ritirarla e potrà girarci in lungo e in largo. E' tanto tempo che la sogna, è tanto tempo che la pregusta, come fosse una donna bellissima da assaporare piano piano. Può permetterselo, del resto.

Ascolto questi discorsi e mi sembra di essere lontanissimo, da un'altra parte. Mi sembra che si stia parlando in una lingua straniera, di cose che non conosco.
Mi sembra che tutto intorno a me svanisca, il locale, gli avventori, l'amico e i suoi discorsi.
E mentre lui continua a decantarmi l'automoble bellissima, il suo grande sogno, io penso a tutte le persone che ho conosciuto negli ultimi giorni che in quel momento stanno male, stanno soffrendo, anche me, per ultimo, e gli vorrei dire se davvero nella vita non ha niente altro a cui pensare se non alla macchina, gli vorrei dire che davvero è un fortunato, che ha avuto una vita facile e comoda se è arrivato a quarant'anni pensando alla "macchina fichissima" come la cosa più importante della sua esistenza.
Gli vorrei dire che dei suoi discorsi non me ne frega niente, ho altro da pensare, e, se la macchina in quel momento la regalassero a me, la lascerei lì in mezzo alla strada. Ma cosa me ne può fregare a me in questo momento della macchina.

Eppure, fino a qualche mese prima avrei seguito questi discorsi con vivo interesse, complimentandomi con lui. Macchina extralusso? Ma certo! Magnifico!

Ecco quale è la cosa orribile, che bisogna star male per vedersi aprire gli occhi di colpo, capire che priorità dare alle cose, separare le cose importanti dalle stronzate.

Chissà, forse il matto sono io, forse, se andrà a finire tutto bene, tornerò a fare discorsi del genere (ormai il momento dell'emergenza è terminato, non è vero? quindi godiamoci la vita e chissenefrega del resto)
Ma ora?

Sento però che questo stato d'animo è quello giusto, uno stato d'animo che non dà più importanza alle cose superflue, ma solo a quelle importanti, e che è in grado di riconoscere, separandole, le une dalle altre.

Vorrei stare bene, e, allo stesso tempo, rimanere con questa consapevolezza per sempre.

lunedì

Quelli che si esaltano (10 febbraio 2010)

Parlo con i miei amici più cari -molti di questi persone lontane, oppure che mi son trovato a frequentare assai meno di quanto facessi una volta- e scopro un grande entusiasmo.
Il fatto di avere un conoscente che andrà a mettersi un computer dentro la testa è elettrizzante, a dir poco.

Vogliono sapere i dettagli, il dove, il come, il perchè. E sopratutto il come sarà "dopo". Vorrei saperlo anche io, detto per inciso.
E poi, se ci saranno conseguenze, se mi robotizzerò piano piano, se mi trasfomerò in una sorta di cyborg come nei film, se il computer prenderà possesso di me stesso....

Guardo queste persone con grande affetto: al di là di tutto, è chiaro il loro "fare il tifo" per me, il prendersi a cuore per la mia sorte, il parteggiare per la mia causa.
Guardo tutto questo entusiasmo e penso che mi farei contagiare anche io, se fossi nei loro panni. Poi penso che sono io l'oggetto dell'esperimento, la cavia, e l'entusiasmo lascia il passo alla proccupazione.

Non sanno niente di cosa veramente si prova a non udire, non sanno niente di cosa dovrò passare dopo (forse non lo so nemmeno io).

Ma, ugualmente, Dio vi benedica per la vostra presenza, amici miei.

Quelli che minimizzano (9 febbraio 2010)

Detesto quelli che mi chiedono "come va?" e poi mi dicono "coraggio, andrà tutto bene", e subito dopo mi danno una pacca sulla spalla, dicendo don preoccuparsi, perchè tanto già lo sappiamo, non è vero?, che andrà tutto bene.

Detesto quelli che mi dicono "eh, ma cosa vuoi che sia, è una sciocchezza", giusto, tanto mica è una cosa che riguarda voi. Chissenefrega, la cavia è solo il sottoscritto.

Detesto quelli che ti chiedono come stai, e poi cercano di svicolare sul discorso pochi secondi dopo, per passare a qualcosa di meno impegnativo e imbarazzante.

Detesto quelli che vogliono farsi vedere interessati al prossimo, mentre in realtà è solo un gesto meccanico, e non gliene frega niente di sapere come stai.

Preferisco, di gran lunga, una persona che ti stia a sentire in silenzio, senza sorridere per forza in ogni momento, per poi dirti: sarà un lavoraccio, una faticaccia, dovrai impegnarti molto, tutto quello che posso fare è sperare che vada tutto bene.

Se non altro, è stato onesto, ha guardato spassionatamente la realtà, non è stato ipocrita.

Toccato il fondo (8 febbraio 2010)

Sono uscito di casa, a piedi, anche se la giornata è fredda e gelida; appena uscito dal portone squilla il cellulare, mi fermo a rispondere al messaggio.

A una certa distanza di fronte a me un signore agita e le braccia e mi urla qualcosa, che ovviamente non sento.
Gli sorrido, come faccio con tutti, e continuo a rispondere al messaggio, battendo sui tasti del cellulare.
Vedo con la coda dell'occhio il signore che si avvicina, ora mi è di fronte, mi strattona gentilmente. Lo guardo in maniera interrogativa, lui continua a spingermi, non riesco a capire cosa stia succedendo.

Poi mi giro e finalmente afferro la situazione: mi sono messo in modo da impedire la manovra in retromarcia di un'automobilista che cercava di uscire dal parcheggio.
Il tizio in questione si era attaccato al clacson da un minuto buono, cercando di farmi spostare. Alla fine aveva cominciato a urlare e a dare in escandescenze, attirando l'attenzione degli altri passanti.

Il buon samaritano si accosta allo sportello del conducente, allarga le braccia, in modo plateale alza gli occhi al cielo e dice che, suvvia, non è il caso di prendersela così tanto per una sciocchezza. Dopodichè si allontana, l'automobilista sgomma via, e io rimango come un idiota in mezzo alla strada.

Nulla. Non ho sentito nulla. Non mi sono accorto di nulla.

Entro in un bar per prendere un caffè.
Mi viene da piangere. Cosa è mai successo, come sono potuto cadere così in basso,
io, proprio io, che alcune volte ero stato bollato come presuntuoso per aver detto che "le persone con difficoltà devono darsi da fare per essere all'altezza di qualsiasi situazione!", "non dobbiamo avere la pappa pronta, bensì cavarcela da soli", "gambe in spalla e pedalare!", ed eccomi qua, a bere caffè, trattenendo le lacrime, rendendomi conto di aver varcato la soglia che separa le persone "capaci" da quelle "non più capaci".

Dopo aver pensato per tutta la vita, con convinzione, che un giorno avrei raccolto i frutti dei miei sforzi, oggi mi sono reso conto di avere in realtà camminato all'indietro senza accorgermene, di essere regredito senza saperlo.

Oggi ho capito che, per la prima volta, ho toccato il fondo.

La montagna da scalare (7 febbraio 2010)

Non riesco a togliermi di testa la frase che mi hanno detto in ospedale....

"Peccato che sei così vecchio, se fossi stato più giovane avresti avuto meno difficoltà....."

Ho scalato una montagna fin da quendo ero bambino, giorno dopo giorno...in un battito di ciglia sono franato giù, e adesso ho la fastidiosissima sensazione di dover ricominciare tutto da capo.
Ammesso che ce la faccia.
Ammesso che ne abbia voglia.
Ammesso che avendo raggiunto i 40 anni non mi sia davvero rotto le scatole.

Perchè, vedete, quando per tutta la vita avete lavorato per un obiettivo, e per me quell'obiettivo si chiama "normalità", e nel giro di poche settimane (o mesi) vi va tutto in frantumi, la prima domanda che ci si pone è: ma io ho voglia di ricominciare tutto daccapo?

Ed immensamente più fastidioso è il senso di sufficienza delle persone che ti stanno intorno.

La scelta (6 febbraio 2010)

Mi è capitata una cosa che inizialmente mi ha causato un certo imbarazzo: la possibilità di scegliere il tipo e modello del mostriciattolo.
"Lei quale modello desidera? Eccoli qui, scelga quello che preferisce". Per un attimo mi sembra di essere al negozio, dove si può scegliere l'articolo che si vuole.

In pratica, le case produttrici stringono accordi con gli ospedali e le cliniche, ma, se vi è più di un modello, il paziente ha diritto di scelta. Sembra bello, ma a questo punto sorge anche il dubbio della scelta.

E dove si possono ricavare informazioni? Ovviamente non in ospedale, dal momento che il personale non può suggerire un prodotto piuttosto che un altro. E quindi per l'ennesima volta si va a spulciare Internet....

Esistono in Italia tre prodotti, il primo austriaco, il secondo americano,il terzo australiano. In realtà esisterebbe anche il prodotto francese, ma non è commercializzato.
E' confortante venire a sapere che a partire dall'anno 2008 tutte le marche e i modelli hanno avuto grandi miglioramenti, per cui oggi si tende a dire che qualunque sia la scelta, è difficile prendere fregature.

Le tre marche ovviamente si azzannano l'un l'altra, ciascuno presenta il proprio prodotto come il migliore, e non perde la battuta per mettere in cattiva luce il prodotto altrui. Sono davvero rare le prove tecniche che non siano "di parte".
Il consiglio di operatori del settore contribuisce a chiarirmi le idee.

Alla fine dopo aver ponderato a lungo, non senza ripensamenti, ho scelto il prodotto australiano. Non posso dire che sia il migliore, ma leggo che almeno ha una elevata affidabilità ed asssistenza. Dal momento che non si tratta di oggetti di largo consumo, anzi, e dal momento che che mi deve funzionare per il resto dei miei giorni, anche questi dettagli hanno il loro peso. E' uscito sul mercato appena tre mesi fa, quindi c'è da aspettarsi che sia quanto di meglio la tecnologia possa offrire.
Magari fra qualche anno sarà tutto diverso, ma per forza di cose mi devo attenere a quello che offre il mercato in questo momento.

E abbiamo fatto anche questo...
Abbiamo scelto il modello, e speriamo che sia davvero buono.

Quello che sarà (5 febbraio 2010)

So benissimo che "dopo" sarà tutto diverso, ma diverso come?

Sarà una diversa maniera di sentire i suoni, una diversa maniera di rapportarsi ad essi, una cosa inzialmente molto difficoltosa, non sarà come l'udito delle persone normale, sarà una sorta di udito artificiale, sarà il computer a decidere cosa farti sentire e come, sentirai benissimo i suoni acuti che sono quelli più difficili da sentire, sarà un terremoto esistenziale, cambieranno le abitudini, cambierà il modo di essere, niente sarà più come prima, e bisognerà pazientemente adattarsi a un'altra esistenza.

Adesso capisco perchè alcuni rinunciano in partenza. In quanti sono a volersi mettere in discussione in età adulta, ricominciare tutto da capo, iniziare una nuova vita ?
E' così comodo rimanere nel nido che ognuno di noi si è creato nel corso degli anni.

sabato

Se avessi una famiglia (4 febbraio 2010)

E se avessi una famiglia, cosa farei adesso?
Se mi fossi sposato con lei? se adesso avessimo figli piccoli?
(lei li desiderava tanto, almeno due bambini)

Come poter conciliare i doveri di padre e marito, con il lavoro, e questa altra cosa che mi è capitata?
E' una questione che mi rode. Ho assistito a casi assai simili, di persone che a un certo punto hanno avuto una malattia, oppure un incidente, che si son trovate quasi dal giorno alla notte a veder messo in discussione tutto quanto.

Confesso di non saper rispondere a questa domanda.
Ma forse è anche inutile.
Non ha senso andare a ragionare per periodi ipotetici. Atteniamoci ai fatti, come dice la Bibbia: "A ogni giorno basta la sua pena."

Forma Mentis (3 febbraio 2010)

Quando il problema è piccolo, anche l'attenzione che gli dedichiamo è piccola.
Quando il problema è impegnativo, dobbiamo dedicargli la giusta attenzione, commisurata all'obiettivo da raggiungere.
E quando il problema riguarda l'intero tuo essere... come la mettiamo?

Mi isolo da tutte le cure mondane, tralascio tutto il resto, e mi dedico interamente a risolvere questo problema: se il problema riguarda tutto me stesso, io gli dedico tutte le mie attenzioni.

Chissà, forse sono un fortunato ad avere un problema e potergli dedicare tutta la mia attenzione. Provo a immaginare a quelle persone che devono badare a più problemi contemporaneamente. Cosa farei al loro posto?

E tutto questo, senza avere alcuna assicurazione su un eventuale successo futuro (discorso che vale anche per me, comunque).

Ebbene sì, forse, nella disgrazia, sono ancora un fortunato.

Quelli che vanno, quelli che restano (2 febbraio 2010)

Non sono il primo a fare un intervento del genere.

Pertanto chiedo a destra e sinistra, per riuscire a trovare chi ha fatto l'intervento, per avere un testimone, qualcuno che possa dirmi qualcosa di utile. Qui non si tratta più di chiedere informazioni mediche, ospedali migliori, dettagli tecnici o simili, ma per fare una sola, fottuta domanda, che poi è la domanda essenziale:

Come va? Funziona?

Avessi chiesto "Come saranno le condizioni meteo a Parigi tra cinque anni esatti", avrei avuto risposte più univoche.

C'è chi ha recuperato magnificamente; chi ha recuperato meno bene; chi non ha recuperato per niente.
Poi vi è chi fin dal primo momento si è trovato meravigliosamente (e confesso che ascoltare queste persone è una iniezione di fiducia); chi ha sofferto le pene dell'inferno per qualche mese; chi ha gettato la spugna.
Chi per avere risultati si è dovuto sottoporre ad allenamenti estenuanti; chi invece no; e anche chi non gliene è fregato nulla di andare a fare riabilitazione perchè "stava bene così".
Chi ha avuto il medico bravo; chi il meno bravo; chi l'inetto, che ha rischiato di combinare un disastro andando ad aprire la testa come un uovo pasquale.
Chi si sente rinato; chi dice che sta come prima, ma gli sta bene così; chi dice addirittura che sta peggio di prima.

Sono risposte che ti lascino abbastanza sconfortato, perchè in ultima analisi capisci che la bionica è ancora una scienza tutta da perfezionare. La sordità non è definitivamente battuta, la strada magari sarà tracciata, ma il cammino è ancora lungo.

E mi sovviene in questo momento la frase del chirurgo: "Ricordati che il grosso del lavoro sarai tu a doverlo fare, sarai tu a determinarne il successo o meno"

mercoledì

Estraniamento (1 febbraio 2010)

Sensazione di estraniamento.

Intorno a me la vita procede, se guardo i telegiornali vedo che gli avvenimenti si succedono, se guardo la gente la vedo indaffarata, ognuno secondo le proprie incombenze, insomma il mondo va avanti come prima. Niente da eccepire.

Sono io a sentirmi estraniato. Tutto quello che mi è intorno passa in secondo piano, rispetto a quello che mi aspetta. Non so più nemmeno che immagine dò ai miei intelocutori, forse mi credono un poveraccio, uno che ha perso il lume della ragione, un depresso, uno che sta soffrendo moltissimo, un grande egoista (si, mi sono sentito dire anche questo) o che altro.
Non lo so e non me ne importa niente. Sento che è ora di rientrare nel guscio e prepararsi.
Come ho sempre fatto in questi momenti.
Come so che è la maniera migliore di fare, per me.
Ormai dopo quaranta anni credo di conoscermi, come sono fatto.

Dopo, quando (e soprattutto se) sarà tutto finito, si potrà ricominciare.

Gli amici capiranno questo mio modo di fare; chi non lo capisce, meglio così, significa che, in fondo, non era un amico.

Aiutarsi l'un l'altro (31 gennaio 2010)

Quando stai male, è come se ti aprissero gli occhi.
Vedi le stesse cose di prima, ma in un'ottica diversa.
Diciamo che le vedi in maniera meno superficiale.

Quando stai male vedi le cose senza il velo della banalità, dell'abitudine, della noia, della stupidità.

Quando stai male hai l'incredibile capacità di andare subito al sodo, al cuore delle cose, senza perdere tanto tempo.

E ti appare improvvisamente ovvia, naturale, senza bisogno di tanti discorsi, la necessità di sostenersi l'un l'altro, di fare rete, di aiutarsi l'un l'altro.
Perchè tutti siamo soli, tutti bisognosi l'uno dell'altro, tutti fragilissimi.

In fondo, noi esseri umani che ci crediamo d'acciaio non siamo in realtà altro che cristalli fragilissimi, ancora non messi alla prova.

Le nostre fortune possono andare in frantumi in un istante, i nostri sogni spezzarsi, e possiamo in ogni momento risveglairci in un'altra, magari amara, realtà.

Ma se facciamo rete tra di noi, se attuiamo una sorta di solidarietà, saremo più preparati ai contraccolpi.

Fregarsene e pensare solo agli affari propri, ecco, questo è il metodo più rapido per andare in rovina.

Tombe degli avi miei (30 gennaio 2010)

"Il mio dispiacere più grande è che tu, piccolino mio, non ci senti! Che disgrazia! Quanto vorrei poterti dare le mie orecchie per farti sentire! Quanto lo vorrei, che tu potessi sentire! Chissà, forse un domani...."

Quante volte mi sono sentito ripetere questa frase. Quanti sospiri. Non tanto dai miei genitori, quanto dai miei nonni, già anziani, che a noi ragazzi ci volevano un mare di bene e ci riempivano di affetto, me e mio fratello, che eravamo tra i bambini quelli "sfortunati".

Purtroppo non sono vissuti abbastanza, sono morti tutti, da molti anni, senza vedere "se forse un domani...."

Mancano pochi giorni all'operazione.

Basta, ho deciso: prima dell'operazione torno da loro, li voglio vedere, voglio dirglielo, che "il domani", forse, è arrivato.

Vado al cimitero, lontano da casa.
In cima a una collinetta, in una giornata fredda ma assolata, gelida e piena di vento.
Ho davanti a me la lapide con i loro nomi e le fotografie.

Nonno, nonna, che peccato che non ci siete più.....
Il piccolino adesso è grande.
E forse quel momento che voi tanto aspettavate è arrivato.
Vorrei che adesso voi foste qui.
Non temete, vi porterò sempre nel mio cuore. E se "quel momento" è arrivato, il momento in cui i suoni non saranno più qualcosa di estraneo ma di familiare, il non dover più farsi ripetere le cose, bè, sappiate che sarà come se voi foste ancora accanto a me.


Esco dal cimitero con la luce del sole ormai bassa, con un vento che spazza senza tregua.
Sono sicuro che da lassù mi hanno sentito, e mi hanno sorriso.
Sono ancora accanto a me.

Solo chi soffre (29 gennaio 2010)

Si è diffusa la notizia che il sottoscritto "non sta bene".

Una ragazza che conosco da molti anni, si dimostra affettuosissima nei miei confronti. Viene da me, mi saluta, mi chiede come sto, se ho bisogno di qualcosa, mi abbraccia, mi bacia, mi fa una carezza sul viso, tutto questo ogni volta che ci vediamo.
Non posso fare a meno di notare che per tanto tempo quella persona era rimasta cortese, ma niente più.
Adesso invece è così espansiva, così partecipe dei miei guai, così premurosa.

Che bello sentire queste cose, l'affetto di persone come questa.

Dopo pochi giorni, parlando con un amico, vengo a sapere che lei ha un figlio che sta male, che soffre per una malattia difficile, per il quale, al momento attuale, non esiste una cura vera e propria.

Ci incontriamo, io e lei, dopo pochi giorni. Stavolta sono io a farle una carezza sul viso, a essere premuroso con lei.

Amica mia, ora so tutto. So quello che hai passato, quello che stai passando, il senso di precarietà spaventoso, il non sapere cosa sarà di tuo figlio, le aspettative di ogni genitore forse così brutalmente mutate.....
Ci abbracciamo.

Bisogna aver passato una grande sofferenza per sapere certe cose, per sentire cose che gli altri non sentono, per capire che solo tenendoci per mano riusciremo a sopravvivere.

Sofferenza, maestra di vita.

Ho gli occhi chiusi, ma so che, da qualche parte, una lacrima sta scorrendo.

martedì

Quanta sofferenza intorno a me (28 gennaio 2010)

Ho voglia di lamentarmi della mia situazione, dire al mondo intero che sono stufo, mandare tutto a quel paese.

Poi vengo a sapere che la mia vicina di casa, mia coetanea, è stata operata alla testa...e giace nel letto dell'ospedale da un anno. Non si è più risvegliata.
L'amico di famiglia si è sentito male mentre passeggiava, gli hanno fatto una radiografia e gli hanno trovato una gran brutta cosa dentro.
Tanti amici sono rimasti senza lavoro, alcuni con consorte e figli a carico.
L'ex vicino di casa di cui non avevo più notizie vengo a sapere che si è schiantato in moto, appena uscito di casa, dopo due curve lungo la strada.
Una amica persa di vista da tanto tempo è rinchiusa in reparto psichiatrico.

E poi amici degli amici che sono stai abbandonati, malati, che hanno avuto incidenti, con figli disabili, con parenti fonti di problemi continui.....
Mi fermo qui.
Mi è passatala voglia di lamentarmi, e, se proprio voglio lamentarmi, lo faccio dentro me stesso, stando zitto.

lunedì

Chi è saggio? (27 gennaio 2010)

E' saggio chi impara dalle proprie disgrazie.
E' doppiamente saggio chi impara osservando gli altri.

Vi auguro di cuore di stare sempre bene, di godere sempre di buona salute, voi e i vostri cari.
E al tempo stesso vi auguro di osservare, di prestare attenzione, a quello che accade al vostro prossimo, e di trarre insegnamento.

La sofferenza, per chi ha gli occhi aperti, non è mai inutile.

Ritrovare sè stessi (26 gennaio 2010)

Arriva il momento di staccare la spina,
ritrovare il significato più profondo di sè stessi,
il proprio io,
mettere in discussione tutto quanto,
fare una verifica generale della propria esistenza.

E scoprire quante cose in fondo superflue, inutili, hanno invaso la nostra vita.
Cose non importanti, ma che ci sembrano tali.
Cose di cui improvvisamente scopriamo tutta la loro inconsistenza.

E' un'ottima occasione per far piazza pulita.
Ma perchè questi momenti accadono solo quando ti capita una sventura?
Deve accadere per forza una disgrazia per trarre una lezione?

No, ma se accade, almeno ci serva da esperienza per il futuro.

domenica

Basta saperlo (25 gennaio 2010)

La vita è in salita.
E' una frase di solo cinque parole, ma credo che ci sia tutto quello che è importante da sapere.
Guardo i bambini di oggi, viziatissimi, sempre super-coccolati e abituati ad essere serviti e riveriti, e mi domando cosa accadrà quando, volenti o nolenti, si accorgeranno, anche loro, che la vita è in salita.
Osservo adolescenti che credono di vivere dove tutto è in discesa, e mi domando quando, e se, apriranno gli occhi.

Ma penso anche cosa succederebbe se a ognuno di noi venisse detto che la vita è in salita, che è gioia, ma anche tanta, tanta fatica e sofferenza. Chissà come reagirebbero.

Ma se sapessimo, se fossimo consapevoli, che la vita è molto più in salita che in discesa, forse la affronteremmo meglio, e con minor trauma.

La vita è in salita? Sì, basta saperlo.

Faccia a Faccia (24 gennaio 2010)

Lunghissimo viaggio in treno, nell'Italia sepolta dalla neve, con una piccola valigia in mano, e l'ospitalità cordiale di un vecchio amico di tanti anni prima, che ha conservato l'affetto dei tempi andati e la solidarietà del momento presente.
Lunghissima attesa all'ospedale, prima di parlare con il medico famoso, di cui tutti mi hanno detto un gran bene.
Esami, esami, altri esami, passano le ore.
Atmosfera cordiale, quasi di complicità, con gli operatori, con le infermiere, che chissà quanti ne hanno visti come me.....
E alla fine, dopo tanta attesa, faccia a faccia con il dottore che, forse, si prenderà la responsabilità di mettere le mani su di me.
Modi cordiali, ma asciutti, quando gli parli capisci che vita che facciano molti medici, neanche il tempo di mangiare un panino, neanche un minuto libero, sempre presi in ogni istante con incombenze varie, una vita che non dà tregua.
Mi guarda con attenzione, mi chiede le cartelle cliniche, le guarda con gli assistenti, le soppesa, le valuta. Sorride quando gli faccio una battuta sul mio stato. Capisco che in fondo, è una persona affabile, ma spaventosamente indaffarata.
Gli esami scorrono sul monitor, TAC, risonanze magnetiche, impedenze, audiometrie, otoemissioni.
Discute con gli assistenti questo o quell'aspetto.
Mi guarda e fa, con una certa soddisfazione: Bene! Piccola pausa, poi: secondo me si può fare.
Lo guardo senza parlare, e lui continua: secondo me lei è un candidato ideale per questo tipo di intervento. Certo, prosegue, è un vero peccato che lei abbia un'età così avanzata, se fosse stato più giovane avremmo avuti molti meno problemi, la riabilitazione sarebbe stata più veloce, le difficoltà inferiori.....
Ma come andrà questo intervento? chiedo senza nessuna timidezza, ormai posso anche fare a meno di sembrare timido e insicuro.
Lui mi guarda e fa: "Io non dò mai pronostici, perchè ogni caso è sempre a sè stante, però....." e qui un'altra pausa, ma non di indecisione, bensì di convinzione, "...io nel suo caso mi sento abbastanza ottimista."
Ci congediamo, stretta di mano, e mentre sto per uscire, un'ultima frase:

Si ricordi che noi medici facciamo solo il lavoro chirurgico, il resto lo dovrà fare lei, e sarà un gran lavoro. Se lei lavorerà in maniera coscienziosa, avrà un bel risultato. Mi raccomando, non sottovaluti la riabilitazione.

E in quel momento mi sovviene di quanta gente avevo sentito ottenere scarsi risultati perchè non si era applicata a sufficienza, perchè "ho fatto l'orecchio bionico e poi basta, non serve altro", perchè aveva preso sottogamba l'intera operazione, perchè si era stufata e non voleva impegnarsi ancora.
Esco dall'ospedale trascinandomi dietro la valigia, cammino nei viali innevati della città, in perfetta solitudine, per strada non c'è nessuno.

In mezzo alla città candida e silente, ho capito che il dado è tratto.

Disperazione (23 gennaio 2010)

Disperazione è sentire che di essere arrivato a "quel punto" che fino a qualche tempo prima speravi di non dover mai giungere.

Disperazione è accorgersi di non saper più cosa fare.

Disperazione è vedere che tutto al di fuori di te continua a marciare come prima, mentre tu sei fermo, o peggio, tutto dentro di te sta crollando.

Disperazione è constatare che pochissime persone capiscono quaello che stai passando.

Disperazione è vedere che a molte altre persone non importa nulla di quello che stai passando, perchè hanno già i loro problemi a cui pensare.

E, alla fine, disperazione è sapere che è arrivato il punto di cancellare tutto il passato, fregarsene di tutto, e prepararsi alla battaglia.

sabato

ESTOTE PARATI (22 gennaio 2010)

Non sottovalutate l'aspetto psicologico di una questione delicata.
Non fatelo quando si tratta di cose di poco conto, non fatelo a maggior ragione quando vi state giocando un aspetto importante della vostra persona, del vostro futuro.
Non siate arrendevoli, non siate superficiali.
Non fate le cose "tanto per farle".
Siate preparati il più possibile su quello che state per fare. Avete deciso di farvi aprire la testa per mettere dentro un PC, nientemeno. Con il quale dovrete convivere probabilmente per il resto dei vostri giorni.
Non esattamente una cosa di ordinaria amministrazione, vero?
E allora, dedicate molto tempo a voi stessi, a informarvi su quello che state facendo, a pensare a come sarà la vita dopo, a quello che dovrete fare.
Lasciate perdere le mille sciocchezze superflue dell'esistenza, e dedicatevi alle cose "di sostanza".

Fate sì che la vostra mente, il vostro spirito, la vostra persona siano pronti.
Estote Parati, siate preparati.

Una amara necessità (21 gennaio 2010)

Ma secondo voi, se non avessi perso l'intero udito a sinistra, avrei pensato di sottopormi a un intervento chirurgico nel quale ti devono aprire la testa? Buttiamola a ridere, che è meglio: ti apriamo la testa come un uovo di Pasqua, ma anzichè prendere la sorpresa, te la mettiamo dentro.
E la maggior parte dei conoscenti, amici, compari, che cosa ti viene a dire, dopo aver saputo di questa tua decisione?

Ma lascia perdere, è pericoloso.
Ma chettifrega, rimani come sei.
Io non me la farei mai una cosa del genere!
Tu sei scemo forte.
Hai 40 anni , non sei più un ragazzino, lascia stare.


Pensate che se fossi rimasto come prima avrei fatto una cosa del genere?
Io vado a farmi aprire la testa perchè non ci sono altre scelte. Certo, potrei rimanere così come sono, ma che vita sarebbe? Non posso più nemmeno parlare con il vicino di casa, con gli amici, con i colleghi.
Domani sarà meglio, giusto?
E allora, io ci provo.

Orecchio Bionico, perchè? (20 gennaio 2010)

Ho chiesto a diverse persone che hanno fatto l'intervento di orecchio bionico (ooops..."impianto cocleare"), il PERCHE' lo hanno fatto.
Pensavo di avere un solo tipo di risposta; mi sbagliavo.

Prima risposta: "mi faccio l'orecchio bionico", perchè mi hanno detto che ci sentirò meglio, adesso non sto così male, ma voglio sentirci sempre meglio.

Seconda risposta: l'ho fatto fare a mio figlio perchè ormai i medici dicono tutti di farlo.

Terza risposta: non so bene perchè l'ho fatto (incredibile ma vero...).

Quarta risposta: l'ho fatto perchè oggi è l'orecchio bionico la metodica di elezione per la cura del problema.

La Quinta risposta la dò io: ho deciso di farlo perchè prima stavo abbastanza bene, ora non più. Prima la mia sordità riuscivo a sopportarla, adesso è diventata un macigno impossibile.

A C U F E N I (19 gennaio 2010)

Se non avete mai sentito questa parola, non sapete quanto siete fortunati.
Sarei quasi tentato di non parlarvene nemmeno, per non rovinarvi la giornata.
L'acufene è il suono, immaginario, che viene percepito quando ci si trova, solitamente, in una situazione di calo di udito.
Tutti hanno fatto esperienza di acufene: è quel ronzio che vi prende all'uscita della discoteca, oppure l'effetto "rintronato" al termine di un evento rumoroso come un concerto io simile. Avete l'impressione di continuare a sentire il suone immaginario per un certo periodo di tempo, poi scompare, e torna la normalità.
Quando una persona ha problemi di udito , è probabile che quel suono immaginario NON scompaia.
Bensì si trasforma in una trappola infernale che rischia di avvelenare l'esistenza: un rombo di motore, cinguettio di uccellini, sibilo acutissimo, qualsiasi cosa, che continuamente, senza sosta, vi attraversa il cervello giorno e notte.
Detto in parole povere, l'acufene è una sorta di cortocircuito delle cellule uditive quando sono sottoposte a stress. Se volete approfondire la ricerca sugli acufeni vi lascio a internet, troverete migliaia di pagine. La cosa che vi sorprenderà è che sugli acufeni si sa ancora molto poco, anche se non è certo una novità dell'ultim'ora. Martin Lutero nel 1400 pensava fosse "la voce del diavolo", Van Gogh nell'Ottocento fu talmente disperato che arrivò, si dice, a tagliarsi l'orecchio per far sparire il fastidiosissimo ronzio che non lo faceva più vivere.

Noi, più modestamente, ci troviamo a convivere con un fenomeno, del quale, con tutti i problemi che abbiamo, avremmo fatto volentieri a meno.

Non volere arrendersi (18 gennaio 2010)

Oggi non riesco più a fare nulla.

Prima riuscivo a fare Cinquanta.
E prima ancora Quaranta.
All'inizio in verità non arrivavo a Trenta.
E ogni volta è stata una fatica tremenda cercare di migliorarsi. Ma perchè cercare di migliorare?
Perchè ho sempre pensato, che dandosi da fare, "domani sarà meglio di oggi".
Perchè la vita, così come è, lascia molto a desiderare.
Perchè chi dorme, non piglia pesci.

Una montagna immensa da scalare, senza mai arrivare in cima, bensì avvicinandosi sempre di più alla cima.
E di colpo il terreno è franato, e sono rovinato giù a valle, dove ero partito, tanti e tanti anni fa.
Ce ne è quanto basta per gettare la spugna, mandare tutto il mondo a quel paese, fare come la maggior parte delle persone che conosco: campare alla giornata, vivere per sè stessi, leggere il giornale sportivo, e fregarsene di tutto.

Ma io non sono capace di fare così, e nemmeno voglio farlo. Ho sempre pensato che domani sarà meglio, lo dicevo sempre anche alla mia fidanzata, e lei mi guardava, e sorrideva.

Mi scrollerò di dosso la polvere, mi rimboccherò le maniche, e ricomincerò la scalata.
Piangendo, perchè sento di non essere più quello di prima, sento che ormai la fatica è tanta.
Non arriverò a Cento, forse nemmeno a Novanta, ma almeno ci avrò provato.

Darsi da fare? sì, però, ma.... (17 gennaio 2010)

"Io penso che gli handicappati non devono stare tanto a pensare a studiare, a darsi da fare, a sbattersi, perchè comunque c'è la pensione di invalidità, c'è il colocamento obbligatorio, ci sono tante facilitazioni e piccoli previlegi che alla fine rendono la vita dell'handicappato abbastanza comoda"

Non potrei essere più in disaccordo.
Questa qui sopra è la forma mentis di tanta, troppa gente, anzi diciamolo pure, è la maniera di ragionare di troppe persone.
Ammesso e non concesso che questo sistema di facilitazioni garantite (la pensione, il lavoro) venga garantito anche in futuro (ma c'è qualcuno che crede davvero che in caso di grande crisi economica le fasce deboli non siano le prime ad andare a gambe all'aria?), quello che non condivido è l'assetto mentale in generale.
Beninteso non ho nulla contro pensioni e collocamento obbligatorio in sè, quanto contro tutto il ragionamento che si cela dietro.
E cioè che tanto c'è qualcun altro che pensa alle proprie necessità, che tanto una soluzione si trova, che tutto mi è dovuto, che non bisogna darsi tanto da fare (tanto c'è qualcuno che deve pensare a me).

Ma in tal caso, noi cosa siamo venuti nel mondo a fare? Quale è il nostro compito? Cosa siamo capaci di fare, di cambiare, di migliorare, se ci arrendiamo a una filosofia di vita così mesta e di orizzonti così ristretti ("basta che c'è la pensione") ?
Nossignori, io non la penso così, la pensione potrà esserci, a titolo risarcitorio del danno, ma noi dobbiamo darci da fare, dobbiamo combinare qualcosa di buono nella nostra vita.
Tutti noi abbiamo dei talenti da far fruttare, non farlo è il crimine peggiore che si possa compiere, al mondo, come a noi stessi.

Allenamento per un'Olimpiade che non ci sarà mai (16 gennaio 2010)

Ho sentito molte volte dire che gli atleti olimpici si allenano tutti i giorni, indefessamente, per i quattro anni che precedono i giochi olimpici, con l'obiettivo di vincere una medaglia.

Non riesco a fare a meno di pensare a quelli come me, come noi, che si allenano tutti i giorni, per tutta la vita, per riuscire a combinare qualcosa di buono nell' esistenza, qualcosa che spesso per gli altri è la normalità, e per noi è una gran fatica.
E senza alcun medaglia in premio, anzi, molte volete con l'indifferenza come premio.

Allenamento per un'Olimpiade...che non ci sarà mai.

Comincia la ricerca (15 gennaio 2010)

Bene, voglio farmi l'orecchio bionico.
Da dove cominciamo?
Cominciamo dalla cosa più banale: informarsi.

Regola numero uno : mai accontentarsi di un singolo parere. Chiedete, domandate, informatevi, a costo di sembrare inopportuni e fastidiosi. Tanto non avete nulla da perdere, nevvero? Siete ridotti così male che andare per il sottile ormai non ha più senso.

La prima fonte di informazione è internet, con i suoi innumerevoli siti e informazioni. Personalmente, ne avrò visionati qualche centinaio. Non dico cosa è buono e meno buono, la ricerca va fatta personalmente, e poi sarete in grado di farvi una idea. La ricerca su Internet è importante, per sapere di cosa stiamo parlando, quale è il problema, per avere una visione chiara delle cose.

E dopo internet? A chi chiedere informazioni?
In primis, a coloro che hanno già fatto l'operazione. Poi medici otorino, logopediste, operatori del settore. Ricordarsi: mai accontentarsi di un solo parere. Girate per le ASL, per ospedali, per le varie strutture presenti sul territorio.

Cosa chiedere? quale domande fare? Io ho adottato un approccio brutale.
"Molto francamente, quale è un posto in Italia dovo poter fare una operazione del genere? Dove è che trovo una equipe in gamba, un ottimo chirurgo, una struttura all'altezza?"
E allo stesso tempo informarsi anche in maniera diretta...."Ma lei, in tutta confidenza, che ne pensa della struttura di X o di Y oppure del medico Z"?

Si raccoglieranno riposte del seguente tenore: "Quello è un posto ottimo" "Quel posto lì è meglio evitarlo" "Quel medico è tanto bravo" "Quel medico è così superficiale"

Non fate l'errore di dover trovare a tutti i costi un posto vicino a casa. Troppe volte ho visto fare questo errore. Stiamo facendo una operazione delicata, non stiamo scegliendo il mercato ortofrutticolo più conveniente dove si spende meno.

Chiedete a più persone possibile. Raccoglierete pareri diversi, e vi regolerete in base al numero di ipotesi positive. Se cinque persone differenti, che non si conoscono, vi dicono che X è un ospedale ottimo, avete ragionevole probabilità che X sia davvero un ottimo ospedale.

Il risultato della mia ricerca è stato quello di avere una rosa di tre-quattro chirurghi, in ospedali sparsi nel territolrio italiano. Ne va del mio futuro, giusto? Ebbene, gambe in spalla, e andiamo a consultare tutti e quattro i medici.

Troppo dispendioso? L'unica cosa che si spende è il tempo. Tutte le visite sono state fatte in ospedale con il sistema sanitario nazionale. Quello che si è speso in denaro è stato treno, benzina ed eventualmente pernottamento in un Bed & Breakfast.

Al termine ti questo iter, si suppone che abbiate le idee chiare su cosa fare e come regolarvi.
Di certo non avrete lasciato nulla di intentato.

Il Regalo che non venne mai apprezzato (14 gennaio 2010)


Quando ero bambino, mi zio mi regalò un giorno un voluminoso cofanetto di colore nero, che guardai con molta curiosità.
"Che cos'è?" - "Questo è un regalo splendido!E' la collezione completa dei Beatles!"
L'intera discografia dei leggendari Beatles, lì nelle mie mani, in formato 33 giri.
Tutte le canzoni delle quali per anni avevo sentito parlare senza mai apprezzarle davvero. Love me do, Please please me, Help, Yesterday, Michelle e tante altre.

Quanto mi sentii imbarazzato quel giorno! Avevo a disposizione un qualcosa che sentivo essere qualcosa di splendido, ma che probabilmente non avrei mai apprezzato a fondo......

"Se un giorno ci sentirò bene, prometto che ascolterò tutti dischi, dal primo all'ultimo!"

Da allora il cofanetto dei Beatles fa bella mostra di sè in libreria. Sono passati oltre venticinque anni, e quei dischi 33 giri non sono mai stati suonati, mai, neppure una volta. Intonsi, puliti, senza un graffio, appena usciti di fabbrica, in attesa di venir ascoltati il giorno che il suo proprietario ne fosse stato in condizione, nel vero senso della parola.
Chissà, forse quel momento non è più tanto lontano.


(Mi vien da sorridere pensando che ormai i giradischi 33 giri sono diventati una rarità! Ah, il progresso!)

venerdì

Pro e Contro (13 gennaio 2010)

L'orecchio bionico, questo sconosciuto.

Nella letteratura, nel cinema, tutto ciò che è bionico è gran moda, negli anni Settanta ci fu il telefilm dell'Uomo da Sei milioni di Dollari, poi negli anni Ottanta fu la volta di Terminator e Robocop, dotati di poteri straordinari grazie a "pezzi di ricambio" meccanici ed elettronici.
Al di là degli aspetti più popolari, il mito dell'essere cibernetico, mezzo uomo e mezzo macchina, ha avuto sempre grande fascino.

Approfondendo le conoscenze sull'argomento, al di là degli aspetti puramente medico-scientifici, si viene a scoprire che l'orecchio bionico è osteggiato dai fautori della "Cultura Sorda", in quanto potenziale meccanismo per far scomparire le persone sorde, e relativa "cultura", dalla faccia della terra; così come da coloro che lo reputano un aggeggio infernale, una profanazione del corpo umano, per finire a coloro che dubitano fortemente della sua utilità universale, in quanto il suo utilizzo deve essere valutato caso per caso e non indiscriminatamente.

Non ho pregiudizi nell'andare sotto i ferri e trasformarmi in Robocop, anzi sono contento che esista questa possibilità. Appena qualche anno prima, mi sarei dovuto arrangiare. Adesso invece, ho questa possibilità.
Sia benedetto il progresso, e si spezzi una lancia in favore del tanto vituperato Sistema Sanitario Nazionale, che si fa carico di una operazione costosissima.

L'ora delle decisioni (12 gennaio 2010)

Se fossi vissuto appena 40 anni fa, probabilmente il cartello Game Over sarebbe comparso, a questo punto della mia vita.
A meno che non mi fossi inventato qualcosa, ma il "cosa" è tutto da vedere.
Bene, e allora che fare?
Rimanere così , nemmeno a parlarne. Bisogna provare a vivere senza autonomia, senza autosufficienza, senz apoter più fare quello che si faceva prima, al di sotto di tutti gli standards, per capire fino a che punto si può sprofondare.

Ho pensato, ragionato, e mi sono accorto che in realtà c'era molto poco da pensare e da ragionare.

Molto semplicemente, era arrivato il momento di giocarsi l'ultima carta.
L'orecchio bionico.

Davanti allo specchio (11 gennaio 2010)

Qui tocca trovare una soluzione.
Sono come su uno strapiombo che si sta lentamente sbriciolando.
Sento che il terreno frana, ogni giorno. Ho quasi la sensazione di sentirci sempre di meno, di settimana in settimana. Immaginazione o realtà?
Intorno a me, non gliene frega nulla a nessuno, o almeno nessuno capisce veramente quello che sto passando, solo io.
Valeva davvero la pena faticare tanto, tutta la vita, per arrivare a questo risultato?
Proprio l'altro giorno l'ennesimo medico otorino da me interpellato, persona molto simpatica peraltro, mi ha detto "ma che senso ha studiare, laurearsi, cercarsi un lavoro, se alla fine questo è il risultato? Tanto valeva mangiare, bere, trombare il più possibile, la vita è breve!".
Perchè l'ho fatto? Perchè sapevo di avere una vita in salita, sapevo che sarebbe stato tutto difficile, l'ho capito molto presto nella mia vita. Pensavo che studiando, lavorando, dandomi da fare, avrei avuto una vita un pochino più favorevole.
E poi perchè, a dispetto della mia condizione, mi sono sentito sempre in grado di farcela. O almeno provarci!
Fino ad oggi...... e ora?

Signore, a te mi affido, perchè adesso so cosa vuol dire essere impotenti.

Da tutto a niente (10 gennaio 2010)

Due anni fa la mia vita era ben tracciata, ben programmata, qualcuno avrebbe detto una vita da libro delle favole.
Ero fidanzato, stavo per mettere su famiglia, e lei era una persona splendida.
Non saprei nemmeno dire come è successo. Lei ci ha ripensato, se ne è andata... Colpa mia? chissà? ci sono rimasto così male che per mesi ho sofferto davvero molto.
Dopo qualche tempo, ad agosto, mentre ero all'estero, ho perso tutto l'orecchio sinistro. E ho avuto timore di perdere anche il destro, il che avrebbe significato Game Over, senza tanti giri di parole.
Nel giro di pochi mesi sono passato da tutto a niente. Come è beffarda la vita! Ti promette tanto, in pochi mesi ti leva tutto. E' stato forse un disegno divino?
Gli americani, gente pragmatica, ama dire: "From Hero to Zero".
E così mi sono sentito io.
Da tutto, a niente.

Quel che resta (9 gennaio 2010)

Tocca affrontare la realtà in maniera spietata.
Come è la situazione? Mettiamo tutto nero su bianco.

Orecchio sinistro, non ci sento più, i suoni sono un groviglio inestricabile e senza più significato. Provo a sentire una canzone e non la distinguo dal fracasso del bus che passa in strada. Vado al negozio di apparecchi acustici, prendo in prova l'apparecchio più potente che c'è, e l'unico risultato è quello di aumentare il volume del groviglio di suoni (molte persone non riflettono sul fatto che la cosa importante è discriminare i suoni e il loro significato, piuttosto che il volume del suono. Se io capisco che quello è il suono del campanello e quell'altra è la radio, sto a metà dell'opera, il loro volume passa in secondo piano.)
Parlo con due-tre medici otorino (mai accontentarsi di un solo parere), dicono tutti prima o poi è fisiologico l'abbassamento dell'udito, io parto già da sordità -110 decibel (equivalente dell'essere più sordo di una campana), quindi il filo può spezzarsi in ogni momento.

Orecchio destro? Come prima. Senonchè anche l'orecchio destro è anche questo crollato a -110 decibel, giusto?
Tirando le somme sto tirando avanti con un solo orecchio che è già a pezzi di suo.

Capacità di capire i discorsi degli altri? quasi zero.
Capacità di farsi valere sul piano lavorativo? sotto zero.
Prospettive, progetti futuri della prorpia esistenza? Ragazzi, lasciamo perdere.

Qui non si rischia di spezzarsi un filo (metaforico), ma molto, molto di più.

Vivere senza sentire (8 gennaio 2010)

Non sono mai stato d'accordo con coloro che dicono quanto è meraviglioso vivere nel mondo del silenzio. Parimenti con quelli che dicono che la sordità è handicap di serie B.
Parafrasando, se la Natura ci ha dato le orecchie, significa che l'udito serve a qualcosa. Vivere senza sentire è scomodissimo.
Niente telefono, niente televisone, niente teatro, rapporti sociali ridotti, poco apprezzamento sul lavoro/nella vita, difficoltà in quasi tutte le situazioni ordinarie.
Non sto facendo il piagnone, bensì illustrando per sommi capi una realtà che sfugge alla maggior parte delle persone.
A proposito, perchè la gente non si accorge di quante difficoltà incontra una persona che non sente? Essenzialmente perchè la sordità non offre possibilità di immedesimazione. Se guardo una persona cieca, provo a chiudere gli occhi e immagino facilmente come possa essere disagevole vivere senza vedere. Ma posso fare lo stesso con una persona sorda? E' molto più difficle. Chissà come è la vita senza udire? Boh? Qualcuno è mai riuscito a immaginare di "chiudere le orecchie"? Logica conclusione è che la sordità è un handicap di seconda categoria.
Oltra a questo, ogni handicap è soggettivo, e quindi per alcuni è tragedia e per altri sopportabile.
Poi esistono i "sordomuti", termine spaventosamente improprio -tecnicamente anche io sono un sordomuto- che affermano di stare bene così come stanno, con uno stile di vita basato sul linguaggio dei gesti e una vita silenziosa. Stile di vita che peraltro suppone l'esistenza di un gruppo di persone tutte con le stesse caratteristiche, con conseguente formazione di un insioeme di individui quasi separato dalla società. E tanti saluti al principio di integrazione "nella società di tutti".
E paradossalmente i sordomuti sono maggiormente considerati dei sordi "oralisti". Più visibili, più riconoscibili, al contrario del gruppo di coloro che si sforzano di comunicare a voce, di essere uguale agli altri, di volersi integrare nella società e non "nel gruppo".
a parte tutte queste considerazioni, la sordità, specie se si è giovani, è un gran macigno sulle spalle , un peso da portarsi appresso, che si può avvertire in maniera maggiore o minore, ma è sempre un peso.

sabato

Il giorno che il filo si spezzò. (7 gennaio 2010)

"Non si è mai visto un caso di sordità migliorare con gli anni. Prima o poi peggiorerà. E chi parte già con un udito ridotto ai minimi termini, deve sapere che prima o poi arriverà quel momento. E' nella natura delle cose. La sordità è nella stragrande maggioranza dei casi progressiva."


Agosto 2008.
Mi piace viaggiare, stavolta sono in Slovacchia, uno dei nuovi paesi entrati nelle UE, appena qualche anno prima, per due settimane di trekking.
Mi trovo sui monti Tatras, una catena montuosa le cui vette arrivano a 2500 metri, in mezzo ai boschi infiniti (il 60% della Slovacchia è composto da foreste). Il nostro quartier generale è Vernàr. Siamo così fuori dal mondo conosciuto che noto, quasi con piacere, che io e i miei compagni siamo gli unici "occidentali" presenti in quelle zone. Che cosa sublime, nel ventunesimo secolo, vedere posti non ancora rovinati dai turisti, posti dove tutto scorre e si sussegue come è sempre stato, secondo ritmi secolari. Chiese ortodosse, paesini di montagna, abitanti che si fermano per guardarti, pranzi e cene con piatti davvero strani e diversi dal solito, case interamente in legno che sembrano appartenere ad un'altra epoca....
Le sere si passano in compagnia, bevendo birra, chiacchierando del più o del meno, preparando la giornata seguente. Quella sera sto chiacchierando con Silvia (in inglese, of course), una ragazza del posto laureata in biotecnologie a Bratislava, che mi racconta del suo prossimo dottorato a Londra. Ho in mano una birra e ho l'impressione di sentirmi quasi ubriaco. Ho la testa che mi ronza leggermente, ma non ci faccio caso. Si fa tardi, saluto Silvia e gli altri ragazzi, e mi ritiro in camera per la notte. Ho sempre la testa che mi ronza.
Mentre spengo la luce, ancora non mi rendo conto che ho passato l'ultima serata "normale" della mia vita.
Il mattino dopo, al risveglio, non sento o meglio non capisco più nulla dall'orecchio sinistro.

Tutto in una notte. Alla fine, il filo si è spezzato.
E adesso, che faccio?

Costruirsi un equilibrio. (6 gennaio 2010)

Ho passato più di trenta anni della mia vita a cercare di costruire un equilibrio.
Sono sordo. Ho messo gli apparecchi acustici fin da bambino per poter sentire i suoni.
Ma se non li comprendi? A che servono?
Servono eccome. Servono a sentire un pò della propria voce. E' sentendo un minimo i propri suoni che si riesce a parlare in maniera comprensibile. Dopo aver fatto logopedia da bambini, riabilitazione, essersi sforzati, essere stati seguiti dalla famiglia, eccetera.
E' già molto. Se riesci a parlare in maniera comprensibile (e cioè a non essere un sordo-muto ) puoi rapportarti con gli altri, anche con gli sconosciuti, in maniera abbastanza rilassata e "normale" (qualunque cosa significhi questa parola...).
Certo non è tutto, non puoi telefonare, non puoi andare a teatro, al cinema, seguire conversazioni in locali affollati...o forse puoi fare tutto ciò, basta saper cogliere due parole e ricostruire il discorso, oppure al peggio fingere e abbozzare.
Insomma, è una vitaccia. Però si può fare.
Ho passato più di trenta anni della mia vita a cercare di costruire un equilibrio, e ad avere una vita il più possibile simile a quella degli altri esseri umani.

Purtroppo, alla fine non è bastato.